Lia Pipitone, la figlia ribelle di un boss di Palermo uccisa a 25 anni nel 1983, non è vittima della mafia. È quanto stabilito dal ministero dell’Interno, anche se i giudici hanno dichiarato che si trattò proprio di un omicidio esemplare deciso da Cosa Nostra per punire un tradimento coniugale.
Alessio Cordaro, il figlio di Lia, porta avanti la sua battaglia con il libro «Se muoio sopravvivimi», il racconto-inchiesta scritto insieme al giornalista Salvo Palazzolo che fece riaprire l’inchiesta giudiziaria, archiviata subito dopo il delitto avvenuto al culmine di una falsa rapina. Di recente, la Cassazione ha confermato le condanne a 30 anni per due boss di Cosa nostra, Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo. Furono proprio loro ordinarono la morte della giovane con il consenso del padre.
«Fu omicidio per onore – ha spiegato un ex autorevole mafioso, Rosario Naimo – si sapeva che la figlia del signor Pipitone tradiva il marito». Il giorno dopo il delitto di Lia, il suo amico venne «suicidato» dal balcone di casa e costretto a scrivere una lettera: «Mi uccido per amore».
«Mia madre continua ad essere una vittima di serie B – dice Alessio Cordaro – Nonostante i giudici abbiamo scritto parole chiarissime». Per il ministero dell’Interno, Lia Pipitone non ha i «requisiti soggettivi» per essere riconosciuta vittima di mafia.