Sopravvissuti
L’autista di Giovanni Falcone si racconta: «Mi hanno fatto pesare di essermi salvato»
Giuseppe Costanza il giorno della strage di Capaci, in cui morirono il giudice, la moglie e tre agenti della scorta, era seduto nel sedile posteriore dell'auto. L'uomo ha fatto dell’educazione alla legalità una missione
«A Palermo avvertivo l’omertà, il disinteresse. Dopo quelle stragi il cittadino comune si è svegliato, c'è stata una reazione, ma perché aspettare tanto? Lo dovevano fare prima, così forse questi due eccezionali magistrati sarebbero ancora tra di noi». Giuseppe Costanza, autista di Giovanni Falcone, unico sopravvissuto alla strage di Capaci, ha fatto dell’educazione alla legalità una missione. «Il silenzio è mafia, quando vedete qualcosa che non va denunciate. E da grandi mantenetevi persone corrette, non scendete a compromessi», ha detto parlando agli studenti dell’Istituto Vittorio Veneto – Salvemini di Latina, dove fa tappa per presentare la mostra «L'eredità di Falcone e Borsellino», realizzata dall’ANSA con la Direzione Generale dello studente e il ministero dell’Istruzione.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono nati a distanza di pochi mesi, il primo a maggio 1939, il secondo a gennaio del 1940, entrambi a Palermo, e hanno trascorso l’infanzia nel quartiere popolare della Kalsa. Un destino che sembrava accomunarli sin da subito. E da qui parte la mostra, che attraverso 200 immagini pubbliche e private racconta la vita dei due magistrati, l’infanzia, l’ingresso in magistratura, poi la nascita del pool antimafia, le rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta e il Maxiprocesso, le stragi del '92, e ma anche il loro lascito. Quella ribellione della società civile, di cui ha parlato Costanza ai ragazzi, e gli arresti dei vertici di Cosa Nostra, prima Totò Riina, poi Bernardo Provenzano. E’ nata nel 2012, per la celebrazione dei venti anni dai tragici attentati, fu esposta a Palermo, poi anche al Parlamento Europeo e alla Camera dei Deputati. E negli anni ha girato decine di scuole, per far conoscere Falcone e Borsellino ai giovanissimi, che in quegli anni non erano ancora nati.
«Falcone – ha raccontato Costanza agli studenti – non era mai a riposo, quando non partiva si andava in ufficio e ci rimaneva fino a tardi, quando tutti erano andati via. La mattina presto lavorava a casa, e la dottoressa Morvillo collaborava tantissimo». Costanza il 23 maggio 1992 era seduto sul sedile posteriore, perché Falcone aveva voglia di guidare. L’ultimo scambio di battute con il magistrato è stato sulle chiavi della macchina: aveva detto a Falcone di ricordarsi di dargliele una volta arrivati, il magistrato distrattamente le sfilò, facendo rallentare la macchina di qualche secondo, ma non tanto da scampare all’esplosione. «Sono gli ultimi momenti che ho memorizzato, dopo il buio. Non sapete – ha detto rivolto ai ragazzi – quanto mi hanno fatto pesare il fatto che io fossi seduto dietro, se avessi guidato io, lui si sarebbe salvato. Ne sarei stato felice, avremmo avuto un’Italia diversa, perché lui sapeva dove mettere mano». Dopo l’attentato Borsellino, era andato a trovarlo in ospedale: «Ha preso degli appunti sulla sua agenda. Il 19 luglio purtroppo hanno fatto saltare in aria anche lui, e la sua agenda è sparita. Non si doveva abbandonarlo, non si doveva permettere che avvenisse un’altra strage, lo sapevamo tutti». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA