La Chiesa «deve vigilare affinché l’esercizio del ministero di annuncio della misericordia di Dio non sia strumentalizzato dal mafioso, ad esempio durante la sua latitanza, e non si configuri, di fatto, come copertura o favoreggiamento di quanti hanno violato e talvolta continuano a violare la legge di Dio e quella degli uomini. Nel caso del mafioso, la conversione comporta un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia».
Lo ha detto in un’intervista al Sir mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale. Il contrasto a ogni forma di mafia è diventato negli anni un tratto distintivo del suo episcopato; anche per questo il presule ha accolto favorevolmente la Giornata di preghiera per la conversione dei mafiosi promossa sabato 7 ottobre nella diocesi di Locri-Gerace.
«Nel caso del mafioso – spiega Pennisi -, la conversione non potrà certo ridare la vita agli uccisi, ma comporta comunque un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia, fonte costante di ingiustizie e violenza, anche con l’indicazione all’autorità giudiziaria di situazioni e uomini, che se non fermati in tempo, potrebbero continuare a provocare ingiustizie».
Il Papa, prosegue l’arcivescovo di Monreale, coinvolge nello stesso atto di condanna ‘ndrangheta, mafia, camorra, sacra corona unita e altre forme di criminalità organizzata di stampo mafioso. «Francesco vuole sottolineare che, oltre alla commissione di specifici delitti, è l’essere di per se stesso un mafioso che costituisce un delitto e necessita di una pena canonica: la privazione dei funerali religiosi, la scomunica».
Qual è il compito dei cattolici? Impegnarsi «per la diffusione di una cultura della legalità» e nell’educazione «a non fare del denaro e della ricerca smodata del potere gli idoli a cui sacrificare tutto a partire dalla vita delle persone».