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La Chiesa, Mons. Pennisi: «Non prevalga l’odio per la politica. Grave errore disertare le urne»

Di Andrea Lodato |

Monreale (Palermo). Non poteva restare a guardare, la Chiesa siciliana. Non poteva restare in silenzio. Perché mai come adesso è arrivato il tempo di spalancare gli occhi e farsi sentire, anche alzando la voce. E, del resto, in questi anni difficili, dai parroci dei quartieri ai vescovi in prima linea, la Chiesa siciliana si è sentita, spesso più con i fatti che con le parole. E, allora, oggi alla vigilia delle elezioni il documento elaborato nel corso della Sessione autunnale della Conferenza Episcopale siciliana ha quasi i connotati di un vero e proprio programma politico. Com’è nato quel documento ce lo spiega monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale e vice segretario della Conferenza.

«Come vescovi non abbiamo né l’intenzione né il compito di stilare programmi politici, ma solo di dare orientamenti di carattere morale rivolti a tutti, perché abbiamo a cuore il destino della nostra gente e il bene della società. Il documento sulle prossime elezioni è nato per rispondere a questa preoccupazione».

E la preoccupazione è seria e c’è il timore, fondatissimo, che la maggioranza dei siciliani resti a casa, rinunciando al voto. Su questo la Chiesa ha assunto una posizione chiarissima, allarmata com’è dai dati sull’astensionismo previsto.

«Abbiamo voluto, come pastori, far leva – dice mons. Pennisi – sulla necessità di una comune responsabilità verso la politica e la vita pubblica che deve alimentarsi dalla speranza e dalla fiducia che è possibile cambiare le cose quando lo si fa tutti insieme, dialogando e confrontandosi. E anche questo è il metodo che abbiamo suggerito: promuovere incontri e dibattiti tra i candidati e i cittadini, conoscere e confrontare i programmi e le proposte, porre questioni che avvicinino la vita delle persone a quella del Palazzo. E’ un compito difficile ma necessario. Il momento che stiamo vivendo in Sicilia è molto critico. Basti pensare ai livelli di disoccupazione (specialmente giovanile e femminile), alla questione della formazione professionale, legata all’obbligo scolastico, che viene bloccata sul nascere, alla carenza di infrastrutture che frena lo sviluppo. Ogni hanno vanno via dalla nostra Isola diverse migliaia di persone, soprattutto giovani. La Sicilia ha un triste primato: i giovani che non studiano e non cercano lavoro tra i 18 e i 24 anni sono il 41%. In questo contesto drammatico riteniamo che nessuno possa esimersi dalla responsabilità di partecipare, come scriviamo nel documento, fornendo “idee e proposte sui temi di maggiore rilevanza politico-amministrativa”. Tutti siamo chiamati alla costruzione della casa comune, soprattutto quando essa è in pericolo. Chi si astiene per protesta perché ha schifo della politica favorisce il mantenimento della situazione esistente e non porta il proprio contributo al cambiamento».

C’è il rischio concreto, mons. Pennisi, che se questa rassegnazione non dovesse essere superata, quella “costruzione della casa comune diventi appannaggio di gruppi autoreferenziali che pretendono di governare in forza dell’investitura di una parte minoritaria del popolo siciliano”.

«Questo è il rischio della tecnocrazia paventato da papa Francesco nella “Laudato Si’”. Se questo accadesse avremmo uno scollamento gravissimo fra i cittadini e chi governa, con conseguenze gravi sulla corretta gestione della vita pubblica. Gli uomini soli al comando non servono. In base al principio della sussidiarietà serve un dialogo serrato e franco fra istituzioni e corpi intermedi teso a trovare risposte concrete ai bisogni della nostra gente. Occorre restituire alla vita politica maggiore qualità, a partire dalla vita democratica e dalla discussione interna ai partiti ed ai movimenti».

La Chiesa si interroga da tempo sulle difficoltà che vive la Sicilia, sulla povertà crescente, sul disagio sociale che alimenta anche le deviazioni e la scelta di vie sbagliate, che conducono spesso nelle mani della criminalità. Si può dire che se non tutto, molti di questi problemi discendano dalle difficoltà del sistema della formazione e della scuola?

«L’educazione dei giovani e la formazione professionale – spiega l’arcivescovo – costituiscono una risorsa fondamentale per una realtà come la Sicilia. Una classe politica che non capisca quanto ciò sia una priorità e non investa energie mentali e materiali per sostenere i giovani condanna l’Isola al degrado umano e sociale. Non fare cominciare i corsi, o non sostenere le scuole nei quartieri a rischio, equivale spesso a fornire manovalanza alla criminalità. Le scuole paritarie, da distinguersi dai diplomifici, hanno in Sicilia un contributo regionale inferiore del 70% rispetto alle altre regioni. Noi crediamo che le politiche pubbliche debbano lavorare per sostenere le famiglie nel compito educativo, incoraggiandole anche con opportuni ed adeguati investimenti in cui la scelta educativa maturi all’interno di un libero patto tra famiglia e scuola nella logica della pluralità e sussidiarietà, ma occorre anche investire nelle politiche di formazione professionale incoraggiando un altro patto importante, quello tra scuola e mondo del lavoro in una logica di reciproca alleanza .Bisogna aiutare le famiglie che hanno figli con varie patologie di handicap e garantire a tutte le persone diversamente abili una vita degna di questo nome».

Ma la campagna elettorale che è in corso come la giudicate? C’è lealtà? C’è rispetto? C’è il confronto “serrato ma leale”?

«Il confronto pare schiacciato su aspetti personalistici e poco sui contenuti. L’avversario politico non è il nemico da abbattere a tutti i costi e con qualsiasi mezzo. Una campagna elettorale condotta solo come guerra fra bande, o come demonizzazione dell’avversario senza affrontare un confronto sui contenuti del progetto politico, non porta da nessuna parte. Ai candidati si chiede onestà, competenza e coerenza etica. Don Luigi Sturzo tra le virtù dei politici cita la franchezza, la sincerità, la fermezza nel sapere dire anche i no, l’umiltà da cui scaturisce il senso del limite, il non attaccamento al denaro e alla fama, la competenza, la progettualità politica, la capacità di programmazione nel discernere i tempi politici, quelli parlamentari, quelli burocratici e quelli tecnici per non creare facili illusioni, che svaniscono finita la campagna elettorale».

La Chiesa siciliana chiede che si parli abbastanza e con chiarezza in queste settimane di accoglienza e integrazione degli immigrati, del patrimonio turistico e culturale dell’Isola, del sostegno alla famiglia, dell’inclusione sociale e della lotta alla povertà, e della gestione della sanità regionale. E, allora, se ne sta parlando?

«Mi pare proprio di no. Le elezioni non sono un concorso di bellezza. I cittadini debbono scegliere sui programmi concreti non in base alla faccia più o meno simpatica dei candidati nei mega manifesti elettorali o agli slogan pubblicitari. Su questi temi i candidati dovrebbero confrontarsi realmente. E sulla base delle loro risposte i cittadini elettori dovrebbero maturare le proprie scelte. L’accoglienza dei migranti, per fare un esempio, implica il modello di società che vogliamo, in cui l’altro è un bene da accogliere, non un pericolo da tenere lontano. Lo stesso dicasi dell’inclusione sociale. Non è pensabile un’azione politica che non implichi un sostegno ai ceti più deboli. Le nostre società tendono, invece, a emarginare, a scartare i poveri e i deboli, nell’illusione che isolandoli dalla nostra vista essi possano quasi non esistere. E invece i poveri ce li abbiamo sempre con noi e giudicano la nostra società costruita sulla logica del profitto e non della solidarietà. Bisognerebbe rilanciare la nostra agricoltura, valorizzare di più il nostro patrimonio artistico e culturale, incrementare il turismo, favorire le medie e piccole imprese e la cultura della cooperazione soprattutto fra i giovani».

La Chiesa è presente, come sempre, sul territorio, ha moltiplicato gli sforzi in questi anni per alleviare i disagi e le sofferenze degli ultimi, che sono sempre di più, soprattutto nel Sud e in Sicilia. Ma con i governi, con i partiti, con la politica in generale che rapporti ha avuto?

«C’è la volontà di dialogare, e in alcuni casi ciò si è attuato. Io personalmente sono intervenuto per chiedere un maggior impegno nel campo della scuola e della cultura in un clima di libertà, la prevenzione degli incendi, la riforma delle Ipab superando la logica clientelare, il sostegno alle famiglie in difficoltà, la tutela dell’occupazione, il miglioramento delle infrastrutture, una sanità più vicina alle persone e attenta alle esigenze dei territori. Ma proprio nella nostra Isola è anche accaduto che importanti associazioni di volontariato (penso a quella di fra Biagio Conte a Palermo o il Banco Alimentare, l’Associazione Meter di Noto, Telefono Arcobaleno) che operano a favore dei poveri, vengano cercate dalle istituzioni quando bisogna risolvere problemi, ma poi le si strozza con la burocrazia e con la richiesta di tributi esorbitanti. In Sicilia è a rischio povertà quasi il 40% della popolazione. Il volontariato o gli enti non profit non cercano elemosine dalla politica. Le istituzioni siciliane dovrebbero, invece, comprendere che se un euro dato a un ente di volontariato o a un culturale si moltiplica per dieci, venti o trenta negli effetti sociali quell’euro è speso bene».

E’ difficile spiegare oggi ai cittadini che non è l’antipolitica a potere dare una mano ad affrontare e superare le problematiche esistenti, ma il contribuire a generare una buona politica?

«Nella storia politica italiana e siciliana i partiti hanno perduto ogni spessore programmatico. Oggi passare da destra a sinistra e viceversa è facilissimo, perché non ci sono più programmi, né idee di lungo respiro. Una politica che pensa solo al tornaconto dei singoli senza occuparsi del bene comune allontana la gente dal voto. E’ difficile aiutare le persone a fare il percorso a ritroso che in questi anni la politica muscolare ed urlata ha fatto fare loro: dal disgusto al disincanto al disinteresse. Ma ci sono esperienze di buona politica nelle amministrazioni che andrebbero maggiormente messe in luce. Ci sono cittadini, soprattutto giovani, che organizzano e promuovono una mobilitazione civica nuova su temi importanti come la lotta contro il pizzo, il gioco d’azzardo, l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, la promozione della vita e della famiglia, la legalità e la lotta alla criminalità mafiosa, la tutela dell’ambiente. Bisogna saldare di più la cittadinanza attiva e la politica, lavorando nei territori e aiutando le persone ad occuparsi con responsabilità del proprio pezzo di vita pubblica».

E allora chiudiamo parlando di domani, dei giovani siciliani che sono in fuga, costretti a cercare fortuna altrove. Mons. Pennisi non ha dubbi su come costruire il futuro di questi ragazzi.

«Puntando su di loro. Valorizzandoli. Compiendo scelte concrete per la loro formazione. Non si può dire che puntiamo sui giovani e poi li lasciamo senza scuola, senza borse di studio per l’Università. E’ assurdo che in molti settori i nostri ragazzi per compiere il loro percorso scolastico o formativo debbano impiegare un anno in più dei loro colleghi del Nord. Se vogliamo aiutare i giovani mettiamoli, assieme ai poveri, al primo posto della nostra agenda politica. Fare scappare le nuove generazioni significa tagliare il nostro futuro. Questo tema è cruciale, restituire speranza offrendo possibilità concrete di realizzazione professionale e lavorativa. Noi ci stiamo provando da anni con il progetto Policoro che cerca di costruire attorno ai giovani una rete che promuova i loro talenti e “scommetta” con loro in un futuro concreto e possibile a livello economico e sociale. Ci piacerebbe che questa buona pratica diventasse anche una modalità di ripensare e le politiche attive del lavoro e di riqualificare molti investimenti pubblici che sono previsti anche dalle risorse comunitarie».

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