CALTANISSETTA – Dei reperti si sa da tempo: descritti in dettaglio in una corposa consulenza depositata agli atti del processo bis per la strage di Capaci ormai concluso. Un guanto di lattice e una torcia, trovati a poca distanza dal cratere lasciato dall’esplosione che sventrò l’autostrada, con sopra impronte di un uomo e una donna la cui appartenenza non è mai stata accertata. Per mesi, come ha scritto il quotidiano La Repubblica, i pm di Caltanissetta che, da tempo lavorano alle nuove indagini sull’attentato costato la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie e ai tre agenti della scorta, si sono interrogati sulla scoperta fatta comparando i dati estratti con quelli di mezza Cosa nostra e dei soggetti noti – investigatori e tecnici – che nel tempo sono venuti a contatto con i reperti. Ma né dal raffronto con gli uomini d’onore, né da quello con forze dell’ordine ed esperti si è arrivati a una risposta.
«Sulla possibile presenza di una donna nel commando di Capaci – spiega il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone – si evidenzia che già nell’ambito del processo Capaci bis, era stata depositata la consulenza tecnica della professoressa Nicoletta Resta. Deve, comunque, osservarsi, in proposito, che – aggiunge il pm – la consulente concludeva non in termini di certezza in merito alla prevalenza di un profilo femminile sui reperti. Peraltro, la conducenza degli accertamenti già eseguiti sconta l’inevitabile limite rappresentato dal lungo tempo trascorso dai fatti e, dunque, dalla obiettiva difficoltà di verificare, in concreto, tutti i soggetti, di sesso maschile e femminile, che ebbero ad entrare in contatto con i reperti, anche per ragioni investigative».
E in effetti il quesito sulla riconducibilità delle impronte appare di impossibile risoluzione perché le tracce di Dna ritrovate di per sé non significano in alcun modo che sul luogo della strage vi fossero soggetti estranei a Cosa nostra. E questo perché il dna femminile sul guanto potrebbe appartenere a una donna venuta a contatto con chi il guanto l’aveva indossato e perché è praticamente impossibile ricostruire l’esatta catena di persone che hanno avuto in mano l’oggetto durante le indagini. Quanto alla torcia, su cui c’era un profilo genetico diverso da quello del boss Salvatore Biondo, ipotizzare che questi l’abbia passata a un complice estraneo ai clan implicherebbe la smentita delle ricostruzioni finora fornite da collaboratori di giustizia la cui credibilità è stata ampiamente riscontrata. «La Procura – ha concluso comunque Bertone – ha già svolto, e continuerà a svolgere, ogni accertamento, anche di carattere tecnico, finalizzato volto ad approfondire la tematica in esame e, comunque, a riscontrare ulteriori spunti investigativi».