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Il ricordo

Il delitto Dalla Chiesa a Palermo 42 anni dopo, chi era il prefetto dei 100 giorni che capì di essere solo

Fu trucidato insieme alla moglie e ad un agente di scorta. Alle celebrazioni c'erano il figlio Nando e il ministero dell'Interno Piantedosi

Di Lara Sirignano |

I killer fecero a gara a chi sparava più colpi. Tanto che il boss Pino Greco “Scarpa”, arrivato quando il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela Setti Carraro erano ormai senza vita, rimproverò i complici di averglieli fatti trovare morti, accanendosi su Domenico Russo, l’agente di scorta agonizzante. A 42 anni da un attentato che segna uno dei momenti più tragici della guerra che Cosa nostra dichiarò allo Stato, Palermo ha ricordato il prefetto dei 100 giorni, il primo ad incontrare gli studenti delle scuole per parlare di legalità e lotta alla mafia, un simbolo delle istituzioni, costretto, negli ultimi giorni della sua vita, ad affidare al giornalista Giorgio Bocca l’amaro sfogo di chi aveva capito di essere solo.

«Quel barbaro agguato contro un esemplare servitore della Repubblica rappresentò una delle pagine più funeste dell’attacco della criminalità organizzata alla convivenza civile. Il vile attentato non riuscì, tuttavia, ad attenuare l’impegno per quei valori di legalità e giustizia propri alla nostra democrazia, per la cui affermazione, nei diversi ruoli ricoperti nell’Arma dei Carabinieri e da ultimo come Prefetto di Palermo, il generale Dalla Chiesa aveva combattuto», ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.A ricordare il sacrificio di Dalla Chiesa stamane a Palermo erano in tanti: magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, vertici politici locali, a cominciare dal Governatore Renato Schifani, e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, in rappresentanza del Governo. «Il ricordo di Carlo Alberto dalla Chiesa è straordinariamente vivo. C’è qualcosa, nel suo esempio, che ha saputo suscitare, e suscita ancora a distanza di 42 anni dalla morte, il senso di un impegno autentico, profondo, incondizionato», ha detto Piantedosi. Mentre il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia ha voluto ricordare l’attualità del metodo investigativo del generale. «La perdita di un uomo simbolo della legalità segna un momento terribile nella storia di Palermo e di tutta Italia. Ha combattuto il terrorismo e la mafia e ha insegnato a chi è venuto dopo a combattere Cosa nostra. – ha detto il magistrato – Quel metodo che viene sempre evocato, il “Metodo Dalla Chiesa”, ancora oggi trova applicazione ampia in tutti quelli che possiamo definire i suoi allievi».

Sul luogo dell’eccidio, stamattina, c’era anche il figlio del generale, Nando Dalla Chiesa, docente universitario, arrivato a Palermo con i suoi studenti. «Abbiamo fatto una settimana su Palermo capitale di mafia e antimafia, siamo stati sui luoghi e gli studenti si stanno emozionando moltissimo – ha detto – Vogliono sapere di più i racconti, i particolari, che ovviamente non trovano sui libri. Mi convinco che insegnare significa consegnare e io consegno loro tanti ricordi».Nell’uccisione di Dalla Chiesa, massacrato a colpi di kalashnikov mentre era in auto con la moglie, seguito dall’Alfetta di scorta dell’autista, il ruolo esecutivo della mafia è ormai accertato. A distanza di 42 anni, però, restano intatte le zone d’ombra di cui parlano gli stessi giudici di Palermo che hanno condannato i killer. Le sentenze sottolineano la «coesistenza di specifici interessi – anche all’interno delle istituzioni – all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale». La giustizia insomma si è fermata ai mandanti mafiosi, dunque, e agli esecutori materiali.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA