PALERMO – Il coinvolgimento di esponenti mafiosi, ma anche le richieste di aiuto a Cosa nostra di persone che pur partecipando alle truffe alle assicurazioni si sono sentite a loro volta truffate dai capi della banda: sono due dei temi che gli inquirenti stanno cercando di approfondire nell’ambito dell’inchiesta sulla gang palermitana (60 indagati in questo filone) che organizzava falsi incidenti stradali spaccando le ossa di persone bisognose, che accettavano in cambio di soldi, e che coinvolge anche un medico e un avvocato. Dopo le decisioni dei gip di Palermo e Termini Imerese che hanno lasciato in carcere gli indagati fermati, a parte due (uno agli arresti domiciliari l’altro con obbligo di firma), gli inquirenti stanno cercando nei bassifondi della criminalità prove per dare certezze al quadro indiziario che va oltre al dato acquisito: alcuni gruppi criminali davano la “compartecipazione” alle pratiche di falsi incidenti stradali (o le cedevano in cambio di alte percentuali sulle liquidazioni delle compagnie assicurative) a Michele Caltabellotta, la mente “professionale» della gang. Alcuni periti assicurativi leggendo sui giornali che Caltabellotta farebbe parte della loro categoria hanno voluto rimarcare che l’uomo è solo un consulente d’infortunistica stradale.
Nel decreto di fermo dei pm che conducono l’indagine, la mafia viene citata tre volte: «Inoltre, il Santoro (indagato ndr) accenna in maniera chiara alla presenza di alcuni “personaggi” che potrebbero reagire con violenza alla mancata liquidazione del sinistro, così dimostrando l’esistenza di un “ulteriore livello”, (presumibilmente appartenente alla criminalità organizzata di stampo mafioso) quale destinatario finale delle quote maggioritarie degli introiti liquidati dalle compagnie assicurative». E ancora: «La presenza di un ulteriore ‘livellò, capace di esercitare una fortissima pressione volta a non rinunciare ai lauti guadagni derivanti dalla organizzazione dei falsi sinistri. A tal proposito, particolarmente significative risultano le ultime conversazioni intercorse tra la Calvaruso, Mocciaro, Portanova (indagati, ndr), durante le quali questi ultimi appaiono a loro volta “terrorizzati” per la possibile violentissima reazione degli appartenenti al predetto “livello superiore” (verosimilmente composto da appartenenti a Cosa Nostra)».
E poi quando i pm si soffermano sulla figura dell’indagato Antonino Di Pasquale indicando «il suo spessore criminale superiore», il credito delinquenziale che gode all’interno di determinati contesti di criminalità organizzata ‘qualificatà, la circostanza che i soggetti che colloquiano con lui gli si rivolgono col “voi” e appellandolo “zio” in segno di ossequioso rispetto».
La mafia quindi, tendono a scoprire le indagini, prendeva una parte degli introiti dei falsi incidenti stradali? L’ipotesi è che per lavorare in libertà la banda pagasse il pizzo sulle somme incassate dalle assicurazioni. Ma all’interno di questo contesto ci potrebbe essere di più. Alcuni mafiosi potrebbero esser stati interpellati da vittime, all’inizio compiacenti, che dopo aver subito lesioni e fratture non sono rimaste soddisfatte di quanto ottenuto. La cosca mafiosa citata nel decreto è quella di Brancaccio, quartiere, peraltro, dove sono stati creati molti dei falsi incidenti. Ma sarebbe l’unica coinvolta?