Palermo – Pietro Formoso, fratello di due mafiosi coinvolti nella strage del ’93 a Milano, mentre si occupava degli affari della «famiglia» di Misilmeri, alle porte di Palermo, pensava al commercio di carne, alla compravendita di gioielli e allo spaccio di droga, senza tralasciare le estorsioni e gli altri affari di Cosa nostra. Questo pensano gli inquirenti che oggi gli hanno notificato l’arresto. Formoso faceva in modo che nei banconi dei supermercati di Palermo e provincia arrivasse la carne di un’azienda a lui vicina e a prezzi superiori a quelli di mercato. E’ accusato di associazione mafiosa e si trovava già in carcere per traffico di droga. Con lui sono coinvolte altre cinque persone: Lorenzo D’Arpa, 58 anni, Paolo Dragna, 64 anni, Francesco La Bua, 68 anni, Pietro Morgano, 70 anni, e Vincenzo Meli, 66 anni.
Nei confronti di Francesco Paolo Migliaccio, un ispettore della Polizia di Stato in servizio nel commissariato Porta Nuova di Palermo, il gip Nicola Aiello ha imposto il divieto di dimora nel territorio del Comune di Palermo e l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria: non avrebbe denunciato per ricettazione il titolare di un «compro oro».
Dalle indagini emerge anche l’estorsione a un imprenditore che aveva acquistato centomila euro di gioielli, ma una volta saldato il debito sarebbe costretto a pagare nuovamente la cifra. A minacciarlo era Dragna per conto di Formoso. «Tu mi devi dare i soldi fino all’ultima lira… Ciccio… mi devi dare i soldi… – dice Dragna in un’intercettazione – cominciando da stasera, hai accettato quello che hai accettato davanti a Pietro… Pietro Formoso… e tu devi uscire i soldi… sabato mi devi portare tutti i soldi… Ciccio… se non vuoi uscire dal supermercato… devi portare tutti i soldi… Ciccio, io avevo ordine di venire e di levarti la testa, però hai anche la mia parola d’onore che oggi c’è un supermercato che si vende… hai voluto la guerra… stasera ti sparo Ciccio… stasira ti scanno». Intanto, secondo la Coldiretti, il volume d’affari delle agromafie è salito a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30% nel 2017. L’attività riguarda l’intera filiera del cibo: produzione, trasporto, distribuzione e vendita. «Le mafie – ricorda Coldiretti – controllano intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto. Così soffoca l’imprenditoria onesta, compromettendo anche la qualità e la sicurezza dei prodotti».