Di Matteo: «Vera forza della mafia sta nei rapporti con il potere»

Di Redazione / 14 Giugno 2020

ROMA – «Io penso di aver capito una cosa importante tra le altre, e cioè che la vera forza della mafia e soprattutto la vera forza di Cosa nostra sta nella sua capacità storica di intessere rapporti con il potere, con il potere politico, con il potere imprenditoriale economico, purtroppo anche con il potere istituzionale». Lo ha detto il magistrato Nino Di Matteo, intervistato da Massimo Giletti a Non è l’Arena su La7. Quanto al processo sulla trattativa Stato mafia, Di Matteo ha detto che «quando Riiina venne cercato da uomini dello Stato per il tramite di Vito Ciancimino si convinse che la strategia che aveva iniziato con l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima e proseguito con l’attentato di Capaci era una strategia che stava pagando, lo Stato piegava le ginocchia» e allora «Cosa nostra capì che era il momento di insistere con quella strategia delle bombe». E allora «sono stati sempre eliminati gli uomini anche dello Stato delle istituzioni e della politica che costituivano diciamo un ostacolo rispetto al mantenimento di uno status quo di una sorta di alleanza nascosta di pacifica convivenza tra Cosa nostra ed il potere. Chi costituiva un ostacolo con il suo rigore con la sua intelligenza con la sua bravura con la sua professionalità veniva colpito e molte volte è stato colpito dalla mafia dopo essere stato isolato e delegittimato dalle istituzioni e dalla politica». 

La scarcerazione dei boss «è un segnale che viene colto dalla maggior parte della popolazione come un segnale quasi di impunità del mafioso o comunque un segnale di speranza anche per chi è stato condannato più volte. Anche il peggiore dei mafiosi ha diritto alla tutela della sua salute ma lo Stato ha il dovere di fare di tutto perché la salute di ciascun detenuto venga tutelata all’interno delle strutture». Lo ha detto a Non è l’arena, su La 7 il magistrato Nino Di Matteo.
E a Massimo Giletti che osserva come 500 persone siano tornate a casa, risponde: «il segnale è devastante dal punto di vista simbolico e comunque il ritorno a casa è idoneo a produrre anche degli effetti concreti pericolosi per il futuro. Un mafioso anche al 41 bis si industria sempre per cercare di fare arrivare, soprattutto se è un capo, le direttive fuori dal carcere ai suoi. Figuriamoci se quel mafioso ha avuto la possibilità di tornare a casa».

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