Palermo
Coronavirus, «In Sicilia chiudiamo scuole e uffici»: era questo il piano di Musumeci
Palermo – Che ci sia tutta l’aria di uno sfogo amarissimo lo si capisce subito. Palazzo d’Orléans, martedì pomeriggio. Lo sguardo di Nello Musumeci davanti ai suoi assessori è quello di un Commander in chief in pieno gabinetto di guerra. «Siamo sotto attacco, sono sotto attacco. E dobbiamo difenderci. Io devo difendermi, ma dobbiamo difendere soprattutto i siciliani». Non vola una mosca, nella sala giunta, poco prima della seduta allargata ai nove prefetti dell’Isola. Il governatore tira fuori la bozza dell’ordinanza di protezione civile sull’emergenza coronavirus. All’articolo 2 c’è il karma della strategia di contrattacco: disporre «per la durata di giorni 7» la «chiusura degli Uffici e delle scuole di ogni ordine e grado nel territorio regionale» per una «disinfezione straordinaria». Il tutto, nelle premesse dell’atto, viene giustificato dalla «straordinaria necessità e urgenza» di «misure di contrasto e contenimento» del virus in Sicilia. Ed è a questo punto che qualche assessore rompe il silenzio. Antonio Scavone, per primo, chiede se «davvero siamo pronti da domani mattina a partire con la sanificazione di migliaia di immobili»; Gaetano Armao solleva la questione degli uffici regionali «decisivi per gestire l’emergenza»; persino Ruggero Razza ammette, quasi sottovoce, che «per chiudere le scuole ci vuole il via libera di Roma».
Il testo della prima versione dell’ordinanza di Protezione civile regionale
E così il vero piano di Musumeci contro il Covid-19 è costretto a rientrare ai box. Nella versione finale, quella che diventerà l’“Ordinanza contingibile e urgente n. 2” con data 26 febbraio, viene sbianchettato il proposito di chiudere per una settimana la Sicilia per scacciare gli spettri dell’infezione. E il testo, molto più annacquato, si limita a costituire il Coordinamento anti-coronavirus alla Presidenza, al richiamo agli enti locali sul «coordinamento attività», alla pulizia straordinaria delle scuole di Palermo. Con tanto di vademecum per i presidi sulla «pulizia straordinaria accurata», prima con «acqua e detergente» e poi con «disinfettanti quali ipoclorito di sodio», da farsi «con particolare riguardo» su «tutte le superfici di possibile contatto» quali «maniglie delle porte e delle finestre, rubinetti e pulsanti di scarico dei servizi igienici».
Le istruzioni d’uso del Mastro Lindo, anziché la prima plateale sfida al governo nazionale, al quale Musumeci addebita sin dal primo giorno più di un errore nella gestione dell’emergenza. «La Sicilia non è nemmeno zona gialla, non ci sono le condizioni d’emergenza per giustificare il provvedimento», è la resa del governatore con il capo della Protezione civile regionale, Calogero Foti, al quale aveva chiesto di abbozzare anche la prima versione dell’ordinanza. Ma il piano resta nel cassetto. Pronto a tornare sul tavolo in caso di altri casi di contagio, ma con l’idea di riproporlo «quando ci sarà il contesto più propizio», ammettono dalla giunta gli uomini più vicini a Musumeci. Consapevoli, però, che ancora non basta il decreto con cui Angelo Borrelli ieri sera ha nominato il presidente della Regione «soggetto attuatore» dell’ordinanza della protezione civile nazionale sul coronavirus. C’è il coordinamento delle attività nell’Isola, con qualche deroga su procedure e fondi, ma sempre su «specifiche direttive» di Roma.
Una pistola ad acqua, per chi agogna a ben altre armi per proteggere la Sicilia dalla pandemia. La ragion di Stato – anzi la ragion di Regione – per Musumeci da qualche giorno ha una sola priorità: «Tutelare la sicurezza e la salute dei cittadini». Tutto il resto viene dopo, seppur col magone istituzionale di dover subire scelte (e falle) «per competenze che non sono mie». Ed è in questo logoramento che, più o meno freudianamente, nasce la gaffe di ieri mattina in conferenza stampa: «Se i turisti arrivano dal Nord sarebbe bene che non arrivassero». Il governatore lo dice dopo aver rivendicato che «in Sicilia non esistono focolai autoctoni» del virus e aver invocato, per l’ennesima volta, che «lo Stato faccia controlli veri per chi arriva negli aeroporti, nei porti e nelle stazioni» ritenendo «non incisivi» quelli finora svolti. Ma, appena rinvigorito l’altalenante flirt con Matteo Salvini chiedendo (invano) al governo giallorosso di chiudere il porto di Messina alla Sea Watch, è un’altra chiusura – quella ai turisti padani – del governatore di centrodestra più a Sud d’Italia a fare notizia. Con tale velocità da rendere necessario un mezzo passo indietro con nota del portavoce: «L’ho detto, e lo ripeto, i turisti provenienti dalle zone gialle farebbero meglio a rimandare di qualche settimana il loro arrivo in Sicilia». Un «appello alla prudenza, nell’interesse di tutti», poiché «la Sicilia è e resta, finora, una regione sicura, dove trascorrere la vacanza in un clima assai propizio. Per questo da giorni invito tutti, anche certa stampa, a non fare terrorismo psicologico».
Ma la frittata è fatta. Arrivano gli attacchi di +Europa (Fabrizio Ferrandelli: «Terrorismo, la Sicilia non ha paura»), del M5S (i deputati dell’Ars: «Pesi bene le parole, uno schiaffo agli imprenditori turistici»), di Italia Viva (Davide Faraone: «Arrivate da ogni angolo del mondo, vi diamo il benvenuto! #SiciliaAperta»), con Leoluca Orlando a definire quelle parole «un grave errore» perché, per il sindaco di Palermo «rischiano di esasperare, proprio per l’autorevolezza di chi le ha pronunciate, un già grave clima di psicosi». E in serata la stoccata dell’amica-nemica Giorgia Meloni: «Noi siamo una nazione, non mi metterei a fare Nord contro Sud», dice la leader di FdI nel salotto tv di Rete4. «Non è che se uno vive in Lombardia va considerato un appestato, così ci facciamo male tutti». «Aiutatevi a casa vostra», era – forse – il messaggio di Musumeci. Ma non l’hanno capito. Sarà per la prossima volta. Perché non finisce qui.
Twitter: @MarioBarresi
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