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Contrada su perquisizioni in casa: «Non conoscevo agente Nino Agostino»

Di Redazione |

PALERMO – «Dopo decenni di sofferenze fisiche e morali inenarrabili, dopo anni di privazione della libertà, tra cui molti trascorsi in carceri militari, dopo infiniti processi e procedure giudiziarie, avrei il diritto, giunto all’età di 87 anni, e giunto alle soglie dell’ultimo viaggio ad un pò di serenità perché, come dice il poeta latino “Turpe senex miles”. Ciò anche in considerazione che con sentenze definitive e inappellabili della Giustizia Europea e della Suprema Corte di Cassazione sono stato sollevato dal peso insopportabile e ingiusto di una condanna irrogatami dall’autorità giudiziaria palermitana che ha devastato la mia vita e quella della mia famiglia». Lo dice il dirigente della polizia di Stato ed ex numero 2 del Sisde Bruno Contrada cui ieri è stata perquisita l’abitazione, nell’ambito dell’inchiesta sull’uccisione del poliziotto Nino Agostino a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio.

«Da ieri sera tutti i mezzi di comunicazione riferiscono di una perquisizione nelle mie “proprietà” immobiliari ordinata alla polizia giudiziaria (specificamente Dia di Palermo e Digos di Roma) dalla Procura generale di Palermo, diretta dal dottor Roberto Scarpinato. Preciso che la perquisizione è avvenuta nella casa dove vivo, acquistata dall’Istituto Case popolari di Palermo e dove abito da 54 anni nonché in un villino bifamiliare in territorio di Carini acquistato da mia moglie Adriana Del Vecchio nel 1971 con un mutuo bancario 25ennale ed attualmente di proprietà di una mia nipote e in vendita, e in una casa disabitata di tre vani di proprietà di mio figlio Antonio ex agente di Ps, congedato per gravi patologie invalidanti». «L’operazione di polizia è avvenuta nel quadro delle indagini per un efferato crimine perpetrato nel 1989: l’assassino dell’agente di Ps Nino D’Agostino – continua – e della consorte Ida in stato di gravidanza. Agente di polizia a me del tutto sconosciuto. Le tre perquisizioni, effettuate per provare cose utili ai fini investigativi, hanno avuto in sostanza esito negativo. Infatti sono stati sequestrati soltanto tre album di mie fotografie con appartenenti degli uffici (Squadra mobile – Criminalpol – Questura – Sisde) presso cui ho prestato servizio o da me diretti e inoltre una bozza di lettera scritta di mio pugno contenente precisazioni su mie dichiarazioni rese al Pm dottor Di Matteo nel 2008». «La missiva non completata e non inviata al magistrato, ritenendola “Melius re perpensa” (dopo averci pensato su). Se ben ricordo, si trattava di appunti circa i miei rapporti con l’agente di Ps Guido Paolilli. Null’altro è stato trovato di utile né nella mia casa e né altrove», conclude. 

«Giovanni Aiello era scomparso dalla mia memoria. Ho avuto migliaia di persone alle mie dipendenze negli anni in cui ho svolto incarichi di dirigente di polizia e al Sisde. Quelli che avevo più vicini li ricordo bene. Di lui avevo un vago ricordo come un poliziotto malvestito, sporco, con una ferita alla guancia». «Aiello sarebbe stato alle mie dipendenze negli anni ’70 – continua -. Dopo che il suo nome era venuto alla ribalta ho chiesto a un sottufficiale mio ex collega chi fosse. Lui mi ricordò che una volta incontrandolo gli dissi: il litigio col barbiere continua? Macché agente segreto. Nel luglio 2017 la procura di Reggio Calabria mi ha fatto perquisire due volte l’abitazione per cercare di scoprire qualcosa sui miei rapporti con Aiello. Non c’era nulla da scoprire». Aiello, che è morto nell’agosto 2017, era finito nell’inchiesta sull’omicidio Agostino ed era stato riconosciuto dal padre del poliziotto, Vincenzo, come una delle persone viste nella villetta di Villagrazia prima dell’omicidio. I magistrati reggini nel decreto di perquisizione avevano scritto che Contrada «è risultato essere la persona più strettamente legata ad Aiello nella Polizia di Stato». Fonte dell’informazione sarebbe «una persona pienamente attendibile che non si nomina per motivi di sicurezza». Contrada oggi ribatte: «E’ una menzogna colossale».

«L’agente della polizia di Stato Guido Paolilli, abruzzese, è uno dei migliori poliziotti che abbia mai conosciuto, era agente della squadra mobile palermitana. Arrestava mafiosi, criminali. Negli ultimi tempi mi è stato vicino. Ha subito un grave lutto e mia moglie lo consolava». Paolilli era stato indagato per il depistaggio delle indagini sul delitto Agostino. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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