Arresti Palermo, regali da imprenditori per velocizzare appalti: così funzionava “sistema Amato”

Di Redazione / 07 Maggio 2019

PALERMO – Gli inquirenti lo hanno soprannominato il «sistema Amato», portato avanti con spregiudicatezza e accortezza da Carlo Amato, uno dei funzionari del provveditorato opere pubbliche di Palermo finito agli arresti domiciliari nel corso dell’operazione “Cuci e Scuci” della squadra mobile. I cellulari venivano lasciati ai colleghi, perché anche spenti possono essere intercettati, e si avanzava la richiesta di denaro. La strategia di Amato non era condivisa da Casella e Muzzicato, anche loro indagati, teorizzavano invece una strategia più sottile e meno rischiosa. Secondo i due, infatti, era opportuno che fossero gli imprenditori di loro iniziativa a fare “un regalo” come ricompensa per i favori ottenuti. Favori che consistevano, oltre che in una celere trattazione del procedimento amministrativo propedeutico alla liquidazione dell’importo dei lavori appaltati, nell’adozione di una perizia di variante contenente costi “gonfiati”. In questo modo l’imprenditore si sarebbe sentito quasi in dovere di sdebitarsi con i pubblici ufficiali e loro avrebbero così potuto accettare con serenità il «regalo», a meno di avere a che fare con un «bastardo» disposto a rivolgersi alle forze dell’ordine. 

Amato, come si legge nell’ordinanza del gip, aveva invece chiesto senza troppi preamboli all’imprenditore Lorenzo Chiofalo 8 mila euro da dividere proprio con Casella e Muzzicato rispettivamente Direttore Operativo, e Ispettore di cantiere. “Onestamente avevo pensato di chiudere tutto il totale a 5 (cinquemila. ndr), in base ai conti che mi sono fatto”, risponde Chiofalo. «Veda lei – aggiunge Amato -. Mi pare poco, però sinceramente di primo cuore, perché dico, volevo dare tremila euro a tutti e due e 5 io, però.., ripeto non mi pare che siamo, siamo lontani dalle idee insieme».

A dicembre del 2017 arriva al provveditorato delle opere pubbliche la polizia. Sequestra documenti e notifica gli avvisi di garanzia ad alcuni indagati. Tre dei quattro finiti ai domiciliari Franco Barberi, Antonio Casella e Claudio Monte, si riuniscono per capire chi li aveva traditi. Mentre parlano intercettati dalla squadra mobile cominciano un lavoro di distruzione di prove. «Questo – dice Barberi – che c’ha la fissa del..». E Casella : «Del paladino della giustizia». «Ma magari gli sparassero, conclude Monte». 

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