Palermo – Nel giorno dell’Epifania, 6 gennaio 1980, sotto la pioggia battente in una Palermo ancora sonnolenta, una coppia di killer uccideva il presidente della Regione Piersanti Mattarella, fratello del Capo dello Stato Sergio. L’agguato scattò in via della Libertà, a poca distanza dall’abitazione dell’esponente politico democristiano che, insieme alla moglie, stava andando a Messa. L’anniversario dell’uccisione è stato ricordato oggi con una cerimonia in via della Libertà a cui hanno preso parte, oltre ai familiari di Mattarella, anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, il prefetto Antonella De Miro, l’assessore regionale Gaetano Armao e i vertici delle forze dell’ordine.
Il delitto Mattarella è stato radiografato da scrittori, analisti, giornalisti. Dal 1980, periodicamente, saltano fuori nuove ipotesi investigative, altri teoremi, racconti basati su anonimi pervenuti in uffici giudiziari ed investigativi. La verità su questo delitto “politico-mafioso”, però, non è mai arrivata al traguardo. Soltanto congetture, teorie molto suggestive, ma nessun punto fermo che potesse offrire alla magistratura il rush definitivo. Allo storico, saggista e docente universitario Salvatore Lupo abbiamo chiesto di analizzare alcuni aspetti di questo “delitto eccellente”.
Professore Lupo, cosa ne pensa della pista “nera”?“Non ho seguito con molta attenzione le vicende giudiziarie. Ho studiato a fondo, invece, gli aspetti politico-mafiosi. La pista che conduce ai Nar possiamo definirla un depistaggio. Non è stato un omicidio orchestrato dai Nar. Forse la mafia ha chiesto manovalanza riconducibile al terrorismo nero ma l’omicidio è il frutto di un terreno dove hanno operato gli uomini di Cosa nostra”.
Perchè si è voluto colpire proprio Piersanti Mattarella?
“Era l’uomo del rinnovamento. Il politico che, più di ogni altro, in Sicilia aveva posto le basi per la rifondazione della Democrazia cristiana. La leadership mafiosa non poteva permettersi il lusso di lasciar fare. Bisognava fermare il politico che minava gli interessi dei comitati d’affari”.
E’ la pista degli appalti, quella più consistente, per risalire al contesto in cui è maturato il delitto?
“Certamente. In questo campo Piersanti Mattarella stava rimescolando le carte. Trasparenza, rispetto delle regole, nuove norme. Per i boss ed i “colletti bianchi” collusi si trattava di un vero e proprio terremoto che andava fermato con ogni mezzo”.
E’ stato proprio un gran “brutto affare” l’omicidio Mattarella, per i mafiosi…
“Sì, senza dubbio. Come lo sono stati l’omicidio Dalla Chiesa e le stragi Falcone e Borsellino. La strategia terroristica dei “corleonesi”, alla fine, non ha pagato”.
Possiamo dire che Piersanti Mattarella ha tentato di cambiare un sistema…
“Cosa nostra ha certamente fermato l’uomo che aveva deciso di cambiare un sistema. E i padrini hanno fiutato il pericolo decretandone l’eliminazione fisica”.
Questo delitto va ricordato che resta uno dei “buchi neri” della storia italiana del dopoguerra. Non si conoscono ancora i nomi, i volti degli esecutori materiali dell’assassinio…
“Si conosce il contesto. Si sa che la Commissione di Cosa nostra ha deciso di far fuori Mattarella. I mafiosi dovevano lanciare un segnale all’esterno e fermare ad ogni costo l’azione riformatrice di Piersanti Mattarella”.