L’Etna e i suoi dieci anni vulcanici

Di Alberto Cicero / 21 Giugno 2023

Etna. Dieci anni dopo. Per un gigante venuto al mondo circa 570.000 anni fa cosa volete che siano due, piccoli, miseri lustri? Ma il Vulcano, Mongibello, Iddu, a’ Muntagna è al contempo terreno e sintesi dell’incontro-scontro tra l’uomo e la natura. Quella natura che lassù sembra (ma è pura apparenza) immobile ed è però costretta ad accogliere (e sopportare sin quando possibile) quei piccoli esserini nevrotici (che saremmo noi) che si agitano causando danni e ferite devastanti.

Il riconoscimento Unesco

Dieci anni dal riconoscimento quale Patrimonio dell’Umanità. Pnhom Penh: 21 giugno 2013.
Un giorno storico, ma non una svolta – purtroppo – perché questo momento memorabile non ha cambiato il rapporto fra gli etnei e l’Etna. Tra figli e madre. Quest’ultima sin troppo – e ancora – ferita, offesa dalla stupidità umana. L’onta maggiore? Una sola parola, le… micromaximultidiscariche. Quegli accumuli di spazzatura di cui tutti siamo responsabili. Chi li produce e chi li tollera.
Le speranze ancora irrealizzate? Quelle afferenti a una gestione del territorio che non è mai stata all’altezza del tesoro Unesco. Basti pensare che ancora, dopo molti anni, la Regione non ha ancora approvato il Piano territoriale del Parco. Con tutto quel che ne consegue.
«I turisti, vengono, si innamorano e ci… guardano sbigottiti». E’ lucidissimo, Seby Torrisi, guida turistica fra i più esperti, quando ci spiega l’impatto dell’Etna sui visitatori, specialmente quelli stranieri. «Non riescono proprio a spiegarsi come in un posto così bello ci sia ancora tanta spazzatura, tanto scempio – spiega amareggiato – Sono migliorati nel complesso, i servizi come ricettività e ristorazione. Ma sul piano della pulizia siamo all’anno zero. Anzi, va pure peggio. Sono i turisti che, innamorati – a loro dire – di un posto magico che non ha eguali, ci… rimangono male per noi!».
Nella sua straordinaria unicità l’Etna è anche orologio del tempo che va a ritroso. Basta saperne interpretare le tracce lasciate dalle varie ere geologiche e si ha una finestra preziosa sullo sviluppo del nostro pianeta. Approfittiamone: spostiamo indietro le lancette agli anni che precedettero quella data fatidica. Ci accompagna Luciano Signorello, oggi 68enne presidente della Fondazione Bufali di Belpasso e all’epoca funzionario del Parco e uomo-macchina dell’equipe che riuscì nell’impresa di ottenere il riconoscimento Unesco.
Il suo racconto intriso di aneddoti e di tanta saggezza, è emblematico. Parla di un gruppo di persone votate a qualunque sacrificio personale pur di ottenere qualcosa che appena pochi anni prima sembrava irragiungibile. «Pochi sanno – spiega – che durante l’iter durato diversi anni, in un paio di situazioni il destino ci è stato decisamente amico. Perché sarebbe bastato un classico granello di sabbia per far inceppare, forse per sempre, quella “macchina” che correva verso l’obiettivo. In questa lunga corsa un giorno dovevamo andare in una tipografia a Biancavilla per far stampare un dossier sull’Etna da inviare immediatamente a Parigi. All’ingresso del paese c’erano i blocchi del movimento dei forconi. Non volevano assolutamente farmi passare. In siciliano stretto spiegai che la necessità di arrivare in tipografia era per far avere un premio all’Etna. Allora il… capobastone parla agli altri e fa: “L’amicu nostru sta travagghiannu ppi fari addivintari cchiù ‘mportanti a nostra Muntagna. Po’ passari quannu voli”. E passai. La tipografia fece il suo urgentissimo lavoro e a Parigi ebbero il dossier».
«Un’altra volta – ricorda ancora “big” Luciano – forse ancora più determinante quanto rischiosa fu quando l’ultima documentazione doveva arrivare a Parigi. Ma il postino che doveva portare il plico dal centro di smistamento in periferia agli uffici Unesco, se ne dimenticò. Quindi allarme generale, telefonate internazionali e poi, invece, la busta arrivò. La candidatura fu approvata. Ce l’avevamo fatta… Mesi dopo, alle 5 del mattino del 21 giugno 2013 arrivò la notizia che avevamo tanto atteso».
E’, questa del riconoscimento Unesco, anche una storia emblematica. La sfida che a volte la natura – e l’Etna – ti pone davanti va affrontata con coraggio e caparbietà. E’ la storia di un gruppo, una squadra che arrivò al successo e lo consegnò a tutti noi, abitatori ingrati di un luogo meraviglioso. «La prima domanda, nel 2000, fu bocciata – racconta ancora Signorello – Avevamo fatto un errore puntando sui paesaggi culturali. Poi abbiamo aggiustato il tiro e grazie ai buoni contatti col ministero dell’Ambiente abbiamo imboccato la strada giusta. Abbiamo lavorato in team per anni affrontando ogni asperità. E soprattutto in silenzio, senza annunci roboanti, con la consegna del silenzio. A testa bassa fino al risultato. Voglio ricordare alcuni dei nomi del gruppo: Agata Puglisi, Salvo Caffo, Michele Leonardi, Francesco Pennisi, Gaetano Perricone, Rosa Spampinato, Alfio Zappalà ma bisogna dire grazie a tanti altri. In primo luogo a tutti docenti dell’Università di Catania. Non posso dimenticare Ray Bondin, ambasciatore maltese all’Unesco che ci ha dato le dritte giuste nei meandri dei meccanismi dellUnesco; parlava la loro lingua…».
Dieci anni dopo, c’è una domanda che volteggia sull’Etna: cosa è mancato, dopo quel giorno? «Sarebbe servito – conclude Signorello – che i Comuni e la gente avessero capito che questo immenso patrimonio non va sperperato».

Pubblicato da:
Francesca Aglieri