Rosalba, la suora che salva le donne che scappano dall’inferno: «C’è ancora tanto da fare soprattutto con i minori»

Di Laura Distefano / 24 Novembre 2024

Un rifugio. Un riparo. Un caldo abbraccio. Suor Rosalba La Pegna da trent’anni è tutto questo per le donne che scappano dall’inferno. «Prima le chiamavano ragazze madri ma in realtà fuggivano da situazioni di pericolo», racconta la sorella facendo una distinzione tra prima e dopo la legge sulla violenza e il codice rosso. La consapevolezza è cambiata, ma sulla sottovalutazione di alcune problematiche ci sono ancora resistenze. Anche da chi è dentro le Istituzioni.

«Oggi è vero se ne parla di più, ma ancora c’è tanto da fare. Queste donne maltrattate sono veramente tante e vanno sostenute. Queste leggi sono buone nella sostanza ma poi povere nei fatti», spiega. Una misura cautelare non può durare per sempre. Così come la condanna. E un processo può avere un epilogo a favore dell’imputato. Suor Rosalba ha la testa piena di interrogativi: «Se poi il maltrattante torna in libertà? O c’è una sentenza del giudice di assoluzione cosa accade? Non si risolve così facilmente questa situazione, serve poter avviare dei percorsi di sostegno più efficaci. Non possiamo lasciare sole queste donne».

Suor Rosalba opera ad Acireale nella comunità “Madonna della Tenda di Cristo” e con l’associazione antiviolenza “il Bucaneve”. Con una cooperativa gestiscono una casa protetta a indirizzo segreto. Al momento ci sono 10 donne, con i loro figli. «Siamo al completo», dice. E si tratta di potenziali vittime di femminicidio. «Noi trattiamo solo casi di codice rosso, sono proprio quelle che hanno l’ultima chance di salvarsi», racconta.

Per suor Rosalba sono dieci figlie. Nel tempo ne ha viste passare tante. Troppe. «La frase che sento spesso è quella che molte vittime vedono la casa protetta come una prigione. Dicono “siamo vittime ma siamo in carcere”, anche se sono consapevoli che stanno diventando più forti nei confronti del loro carnefice. Noi lavoriamo molto con le psicoterapeute, queste donne stanno facendo un lavoro dall’interno. Alcune – racconta la sorella – ci mettono tempo a scappare coi loro figli e purtroppo nelle zone interne c’è ancora l’uomo con la divisa che dice “puoi tornare a casa, vedrai che è stato solo un momento, cambierà”. E invece non si rendono conto che alcune situazioni sono campanelli d’allarme e l’unica via d’uscita è denunciare. Quando il dolore fisico passa molte pensano che potranno cambiare questi uomini, alcune si illudono rischiando anche di essere bruciate vive».

Suor Rosalba ricorda ancora la telefonata di una donna al suo cellulare. «Mi ha raccontato che si era salvata per miracolo perché era riuscita a far rovesciare sulla sabbia la tanica di benzina. Il compagno l’aveva portata in una spiaggia del posto per gettargli addosso la benzina e darle fuoco. Quando lei ha rovesciato la tanica, l’uomo ha fatto spallucce e le ha detto: “è solo rimandato”. In quel momento lei ha capito di essere davvero in pericolo, mi ha chiamata ed è scappata».

Ma per tante vittime salvate, c’è anche chi dopo aver denunciato ha fatto un passo indietro. «C’è stato il caso di una donna che avevamo ospitato che ha revocato la querela e poi è stata ammazzata. Ancora oggi ho il nodo alla gola pensandoci», racconta stringendo i pugni. Il filo di contatto con la casa rifugio avviene attraverso il centro ascolto acese o tramite i carabinieri. Le linee telefoniche sono aperte h24. «E poi siamo nel circuito del 1522», spiega.

Suor Rosalba, che è responsabile del centro ascolto del servizio diocesano per il sostegno e la tutela minori, è tanto preoccupata per i giovani. «Molti ragazzi oggi vanno in giro armati di coltello. Dobbiamo cominciare a cambiare partendo da noi stessi. Chiediamo ogni giorno che cosa possiamo fare nel nostro piccolo».

Le nostre famiglie sono ferite. E non possiamo parlarne solo il 25 novembre. «E gli altri 354 giorni? – chiede Suor Rosalba – i nostri figli non hanno bisogno di lezioncine a parole, educhiamoli essendo esempi e portatori di valori sani».

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo