La storia
Parla l’ex tesoriere del clan Attanasio: «La mafia è orrore, io ero accecato»
Rosario Piccione racconta la sua scelta di cambiare vita.
Luogo: sito riservato. Ore: le dieci di sera. Il telefono squilla. Rosario Piccione risponde alla call (fissata il giorno prima) dopo il primo trillo. La storia comincia dal «mondo di mezzo». Quello in cui da mafioso cominci a diventare un collaboratore. O pentito, in gergo giornalistico. La vita da mediano della giustizia è durata 180 giorni. Poi o dentro o fuori.
«Ecco perché mi sono pentito»
«Se le dicessi che ho deciso di collaborare all’inizio perché ebbi uno scossone di senso di colpa rispetto alla vita che avevo condotto non sarei sincero. Gli sconti di pena e le agevolazioni della giustizia hanno avuto un peso nella mia decisione. Però i magistrati furono immediatamente chiari: questo percorso significava dire la verità. E io l’ho detta sempre fino in fondo». Rosario Piccione è stato arrestato nel 2002. A Siracusa. Era il ragioniere di Alessio Attanasio. Il contabile del clan che oggi – come dimostrano le carte della recente inchiesta coordinata dal sostituto Fabrizio Aliotta e dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita – è tra i più pericolosi e agguerriti della Sicilia. Sono pronti a usare la lupara. Alla vecchia maniera. Alcuni di quei fermati Piccione li ha conosciuti. Con uno ci ha anche condiviso la cella.Rosario diventa affiliato nel 1997. Diventa quasi subito l’uomo di fiducia del boss. Alessio Attanasio grazie al matrimonio con la figlia di Bottaro fece il salto criminale.
Il cassiere del clan
Piccione però non discende da una famiglia di mafiosi. Fu una sua scelta quella di entrare nella criminalità organizzata. Confessa di non aver resistito al fascino del potere criminale e dei soldi. Pare una sceneggiatura di Gomorra. «Attanasio mi fece sentire importante, oggi so che non è una giustificazione. Ma a Siracusa tutti in quegli anni si rivolgevano a noi. Venivano tutti nella mia agenzia che era diventata la base logistica del clan. Io incassavo i soldi e distribuivo gli stipendi ad affiliati e famiglie dei detenuti. Con la lira erano da 1.500.000 a 3.000.000. Dipendeva dal ruolo. Poi con l’euro siamo passati da 1.500 a 3.000 al mese. Ma c’era anche chi percepiva uno stipendio di 5.000 euro. Tra detenuti e liberi davo lo stipendio a circa 40 persone».
La scelta di cambiare vita
Le cifre, facendo un po’ i calcoli, sono mostruose. Droga ed estorsioni portavano fiumi di denaro nelle casse del clan e nelle tasche di Piccione. Bombe incendiarie ai commercianti che non pagavano. O a chi pagava clan fuori confine. «Ai Pillera Cappello abbiamo fatto la guerra», racconta Piccione. Poi nel 2002 arriva l’arresto per l’estorsione della squadra mobile. Due mesi di carcere e Rosario chiede di parlare con la magistratura. Si trova davanti il compianto Enrico De Masellis. «Sono stato trasferito a Rebibbia e ho cominciato a raccontare tutto. Sono scattati blitz, arresti. Io sono stato condannato per mafia e 37 estorsioni. Ma ho fatto solo cinque mesi di carcere, poi sempre misure alternative. Questo però va detto: succede a chi non viola le regole del programma. Non ci sono mezze misure. Lo Stato non dà seconde possibilità. Che sia chiaro. Scegliere di collaborare è una scelta di vita. Tornare indietro significa tradire le Istituzioni».
Il tatuaggio con Falcone e Borsellino
Mentre Rosario parla sento la notifica su WhastApp. Mi è arrivata una foto. Il braccio tatuato con l’immagine iconica di Falcone e Borsellino. «Questo è il sigillo del mio nuovo percorso. Ho scelto la legalità. Queste facce me lo ricordano ogni mattina».Quando ha finito di scontare le condanne Piccione ha scelto di uscire dal programma di protezione e con i soldi dello Stato ha aperto un’attività tutta sua. «Oggi sono un imprenditore che ha la sua fetta di soddisfazioni. Sto continuando a testimoniare in processi. Quando torno a Siracusa, anche se non dipendo più dal servizio centrale, c’è sempre una tutela che mi accompagna. La mano dello Stato resta sempre. E se dovessi avere qualsiasi problema, qui dove sono ora sanno chi sono e quale è la mia storia». Piccione ha partecipato anche a convegni e incontri nelle scuole. «Ai ragazzi parlo apertamente: non nascondo il mio passato e le mie scelte sbagliate. Non ho mai ucciso, intimidito, messo bombe carta o consumato droga. Facevo il ragioniere per dei mafiosi. Alcune domande dei ragazzi sono forti. Ma a loro posso dire, perché l’ho vissuto sulla pelle, che la mafia è orrore. Io ero accecato. Poi mi sono risvegliato. La luce c’è solo nella legalità».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA