SCENARI
I vulcani sottomarini di Sicilia: qui è possibile un’eruzione come quella di Tonga? Parla l’esperto
Il parere del vulcanologo tedesco Boris Behncke, ricercatore dell’Ingv presso l'Osservatorio Etneo di Catania
Sicilia, l'isola dei vulcani. Quelli che, maestosi, svettano sul mare e quelli che dalle acque del Mediterraneo sono celati, quasi custoditi con religioso silenzio nelle fredde tenebre degli abissi. Non solo l'Etna, dunque, o lo Stromboli o Vulcano; ma anche Panarea, il Marsili nel Tirreno, o Empedocle nel Canale di Sicilia, un vulcano sommerso le cui dimensioni alla base misurano 25 chilometri per 30 e di cui la Ferdinandea è solo una dei coni eruttivi. E ci sono anche le Montagne di fuoco «smarrite», di cui gli antichi greci narravano i fenomeni attribuendoli all'ira degli dei dell'Olimpo e che oggi gli esperti e gli appassionati cercano e a volte non trovano.
E' il caso del Vulcano Dimenticato di Agrigento che vomita scorie spesso ritrovate sulle spiagge lungo la costa della Città dei Templi. Certamente si trova sui fondali del Canale di Sicilia, a poche miglia marine dal litorale, ma gli esperti dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, quelli del Cnr e le unità della Marina l'hanno cercato in più riprese, senza riuscire a localizzarlo. Un mistero degno d'un racconto di Stephen King?
Ma qui sarebbe possibile un’eruzione di un vulcano marittimo di portata simile a quello delle Tonga? Secondo il vulcanologo tedesco Boris Behncke, ricercatore dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia presso l'Osservatorio Etneo di Catania, «è difficile aspettarsi un’eruzione così violenta di un vulcano sottomarino nei nostri mari».
Citando il Marsili, il vulcano sommerso più grande d’Europa e del Mediterraneo localizzato nel Tirreno tra Palermo e Napoli, Behncke spiega come si trovi a «una profondità molto grande» rispetto al vulcano delle Tonga e come «la pressione della colonna di acqua sopprime in gran parte la sua energia esplosiva». Dal vulcano che ha eruttato nell'arcipelago di Tonga, invece, ci si può aspettare una replica perché , perché già «in passato, circa un migliaio di anni fa, ha registrato un’eruzione simile, molto violenta. Sembra dunque ciclico».
Se invece un’eruzione come quella di Tonga «fosse avvenuta sulla terra, penso al Vesuvio o ai Campi Flegrei – ha affermato Boris Behncke – le conseguenze sarebbero state apocalittiche». Per il ricercatore dell’Ingv di Catania «nella sfortuna, la fortuna è stata che una simile eruzione si sia verificata in una zona estremamente remota e poco abitata – afferma – Se fosse avvenuta a terra in una zona popolata, non avrebbe causato uno tsunami, ma avrebbe provocato devastazioni anche a distanza di diversi chilometri».
Tuttavia a Tonga «l'eruzione, che ha avuto conseguenze molto gravi sulle isole vicine, è stata probabilmente amplificata nella sua violenza perché avvenuta nell’interfaccia tra mare e atmosfera. Un’intera isola, che si era formata 6-7 anni prima e che era cresciuta proprio prima dell’attività esplosiva, è andata distrutta».
L’aspetto positivo dell’eruzione, «molto affascinante dal punto di vista scientifico», è «il numero sorprendentemente basso di vittime in termini di vite umane». Dovuto, oltre al fatto che si tratta di isole scarsamente popolate, anche agli «abitanti molto preparati. Anche se non hanno memoria di un’eruzione vulcanica simile, hanno visto terremoti molto forti, cicloni, uragani, tsunami. Quindi sono subito scappati verso zone più alte, si sono attaccati agli alberi…».
Un altro problema, ora, è dato dalla presenza delle «cenere che può derivare dalla nube eruttiva e contiene sostanze potenzialmente tossiche. Quando la cenere si deposita sulla terra, come avviene con l'Etna, viene lavata. Ma a Tonga la situazione è resa più complicata dal deposito in mare della cenere, che contiene zolfo, cloro e altre sostanze».
Comunque sia oggi più che mai, alla luce di quanto successo nel regno di Tonga, è necessario tenere sotto stretto controllo anche i nostri vulcani sottomarini, soprattutto Empedocle con il suo articolato sistema eruttivo descritto nello studio dell'Onu “Environment Programme Mediterranean Action Plan”, come un grande rilievo sottomarino, che sorge sul fondale profondo da 250 ma circa 500 m, su cui sono impiantati dozzine di edifici vulcanici ben strutturati di dimensioni molto variabili, spesso allineati e allungati secondo l'orientamento NNW del Canale di Sicilia». Perché, se è vero che non vi sono pericoli imminenti, è altrettanto vero che c'è sempre la possibilità di una forte eruzione sottomarina con conseguente rischio tsunami. Stiamo parlando di un vulcano nascosto sui fondali marini, che si trova a soli 20 chilometri da Sciacca. Venti chilometri è la distanza che divide l'Etna da Catania: ma il Mongibello è monitorato 24 ore su 24, 365 giorni all'anno. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA