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Condannato anche l’ultimo “amore” di Matteo Messina Denaro: 11 anni e 4 mesi alla maestra Laura Bonafede
Figlia di un boss di Campobello di Mazara aveva anche convissuto col padrino allora latitante
Il gup di Palermo Paolo Magro ha condannato a 11 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa Laura Bonafede, l’insegnante di Campobello di Mazara, figlia dello storico padrino del paese, sentimentalmente legata al boss Matteo Messina Denaro. Alla maestra, inizialmente era stato contestato il reato di favoreggiamento poi modificato in quello di associazione mafiosa. Secondo la procura la donna per anni avrebbe convissuto, insieme alla figlia, con il capomafia allora ricercato, garantendone le comunicazioni con gli uomini d’onore e coprendo la sua latitanza. Il processo è stato celebrato col rito abbreviato.
I pm Piero Padova e Gianluca De Leo avevano chiesto la condanna a 15 anni. Alla donna in un primo momento era stato contestato il reato di favoreggiamento, poi modificato in quello di associazione mafiosa. La Bonafede ha incontrato l’allora latitante fino a pochi giorni prima della sua cattura. I due, come si evince dalle decine di pizzini trovati nell’ultimo covo del capomafia, avrebbero anche convissuto. L’insegnante, inoltre, avrebbe gestito la corrispondenza del boss garantendo i suoi contatti con gli altri uomini d’onore. La sentenza è attesa per la tarda mattinata.
L’ultima difesa della maestra
«Non ho mai fatto parte di nessuna associazione mafiosa, non ho mai convissuto con alcuno anche perché ho abitato con mia madre fino al 2021, si figuri se potevo dormire fuori casa, vai a trovare una giustificazione. Le volevo dire soltanto, le volevo chiedere di valutare la mia posizione per quella che è e mi auguro di trovare in lei quel giudice di Berlino che tutti ci auguriamo di incontrare». Ha negato di aver fatto parte di Cosa nostra e di aver convissuto con Matteo Messina Denaro e ha chiesto al giudice di ascoltare le sue ragioni Laura Bonafede, la maestra sentimentalmente legata al boss trapanese che oggi è stata condannata a 11 anni e 4 mesi per associazione mafiosa.
L’imputata la scorsa udienza ha reso dichiarazioni spontanee tentando di raccontare la sua versione sul rapporto che l’ha legata all’ex ricercato morto un anno fa. All’insegnante di Campobello di Mazara, figlia dello storico capo mafia Leonardo Bonafede, i pm hanno inizialmente contestato il reato di favoreggiamento aggravato poi modificato in associazione mafiosa riconoscendo alla donna un ruolo partecipativo in Cosa nostra. Accuse che l’insegnante ha smentito durante le sue dichiarazioni spontanee.La donna ha raccontato di aver conosciuto da bambina Messina Denaro e di aver ricevuto amicizia e attenzioni da lui, antico conoscente del padre, nei momenti difficili della sua vita come dopo l’arresto e la condanna del marito, Salvatore Gentile, all’ergastolo per omicidio.
L’errore e la figlia
«Mi aveva chiesto che voleva conoscere mia figlia, quella bambina che aveva conosciuto tanti anni prima, e io ho fatto questo errore, perché lo reputo adesso un errore, sono uscita con mia figlia non dicendole niente chiaramente, dove dovevamo andare» ha detto durante le dichiarazioni spontanee al gup Laura Bonafede.«Ho lasciato la macchina in una strada di Campobello – ha ricostruito la donna – e poi sono salita nella sua assieme a Martina, le ho detto che lui era un amico del nonno, che era anche un amico di papà e che adesso si trovava in una situazione particolare perché lo volevano arrestare. Lui mi aveva chiesto di conoscerla, di rivederla, perché l’aveva vista in carcere quando era piccola. Ho raccontato questa bugia a mia figlia».
Il risarcimento al ministero
Il gup di Palermo che ha condannato a 11 anni e quattro mesi per associazione mafiosa la maestra Laura Bonafede ha anche dichiarato l’imputata interdetta dai pubblici uffici. Il giudice ha inoltre applicato alla donna la misura di sicurezza personale della libertà vigilata per tre anni, una volta scontata la pena. Infine la maestra è stata condannata a risarcire le parti civili. Al Comune di Castelvetrano e a quello di Campobello di Mazara sono stati riconosciuti 25.000 euro ciascuno di risarcimento del danno, 10.000 euro dovranno essere pagati dall’imputata al ministero dell’istruzione e alla presidenza della Regione. Bonafede è stata infine condannata a risarcire con 3.000 euro ciascuno il centro studi Pio Latorre, l’associazione antimafia Caponnetto, l’associazione antiracket diTrapani e l’associazione Codici Sicilia.
Come ha incontrato il “padrino”
«Io sono nata in una famiglia purtroppo mafiosa e ho vissuto fin da bambina con questo clima» e «mio padre (il boss Leonardo Bonafede ndr) parlava anche a casa dei suoi impegni» quindi «sono cresciuta così, abbiamo frequentato anche persone dello stesso ambiente», ma «noi figli, e nemmeno mia madre, abbiamo mai fatto parte di questa vita nonostante la vivessimo» e «non abbiamo mai fatto parte di nessuna associazione mafiosa, anche perché le donne, bambine e adulte, erano tenute un pochettino lontane da certe situazioni e da certi contesti». Laura Bonafede ha anche raccontato di aver conosciuto Messina Denaro da bambina tramite il padre e di averlo avuto vicino nei momenti difficili della sua vita come dopo l’arresto del padre e del marito. Lei e il boss, ha ricostruito Bonafede, si sarebbero incontrati negli anni costantemente, ma non avrebbero mai vissuto insieme.«Nel gennaio del 2008, mentre io mi trovavo nella cartoleria Giorgi a Campobello – ha affermato – ho incontrato, per meglio dire Matteo Messina Denaro si è fatto riconoscere: io stavo salendo sulla mia auto e lui era sulla sua, mi ha fatto cenno di seguirlo e io l’ho fatto: l’ho seguito, poi siamo andati in un posto che era una strada un poco più isolata quindi mi ha fatto cenno di scendere e sono salita sulla mia macchina, a quel punto li ci siamo…. abbiamo parlato, era tanto tempo che non ci vedevamo, mi ha raccontato di sua figlia, insomma che aveva avuto una bambina, tante cose di famiglia, ci siamo dati appuntamento per febbraio». «Lì sempre stessa modalità, ci siamo dati un orario – ha aggiunto l’imputata – poi ho lasciato la mia auto e sono salita sulla sua, non in maniera, come dire, all’aperto, perché ho adottato dei sistemi…, per tutelarmi un pochettino da quelle che erano tutte le mie conoscenze, perché Campobello essendo un paese piccolo mi conoscevano tutti e io mi trovavo in una posizione anche particolare, una donna sposata, una donna sola, e così mi sono nascosta. A quel punto siamo arrivati in una casa, lui ha entrato la macchina, ha chiuso il portone e li ci siamo incontrati, sono state circa un paio di ore assieme a lui». «Sono stata bene, abbiamo parlato, mi sono sentita anche un poco rassicurata, tipo mi sono sentita come appoggiata», ha ammesso.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA