Narrano – o forse favoleggiano – d’una cena riservatissima. A Sant’Ambrogio, amena località sulle colline cefaludesi, nella villa di Gianfranco Miccichè. Che, dopo un incontro nel tardo pomeriggio all’Ars con Giorgio Mulè, venerdì 14 aprile avrebbe ricevuto il vicepresidente della Camera con altri convitati vip. Fra cui Licia Ronzulli, capogruppo forzista al Senato, e Alessandro Cattaneo, scalzato dall’analogo ruolo a Montecitorio dopo il recente repulisti filo-governista di Arcore. Le voci corrono soprattutto sull’ospite potenzialmente più illustre: Matteo Renzi (già compagno di merende di Miccichè all’Enoteca Pinchiorri), accompagnato da Davide Faraone. E si sussurra che, al momento del dolce, sia spuntato Totò Cuffaro.
«È un’emerita minchiata, almeno per quanto riguarda me, che ero ad Aci Sant’Antonio, nel Catanese, a presentare il nostro candidato sindaco, ma anche Matteo, che ho sentito e sento molto spesso di questi tempi», certifica con sicumera l’ex governatore ora leader della Dc. Che giura di «non sapere nulla» neppure di un ipotetico simposio-bis, a Firenze, qualche giorno fa. Ma anche dai vertici nazionali del partito e dai più vicini a Micciché la versione è la stessa: nessuna cena.
Se così non fosse né potesse essere, allora magari lo sarà. Perché, con la destra di Giorgia Meloni che s’è presa le chiavi del Paese (e una copia di quelle dell’Isola), gli smottamenti al centro continuano. Un effetto naturale, dopo la rottura fra il leader di Italia Viva e Carlo Calenda e la virata a sinistra del Pd tendenza Elly Schlein; al netto di un tabù che apertamente nessuno osa infrangere, pur essendo il “dopo di lui” (inteso come Silvio Berlusconi) uno dei temi più discussi, rispettosamente sottovoce, a Roma quanto a Palermo.
Prendiamo, ad esempio, il caso del “migrante” ex grillino Giancarlo Cancelleri, recuperato in nome del principio dell’accoglienza politica dall’“Ong” forzista di Sicilia. Tutti (o quasi) si sono concentrati sulla sfrontatezza della traversata politica e sull’opportunità di far entrare l’ex nemico in casa propria. Trascurando il senso dell’operazione, ben compreso invece da FdI, che con il musumeciano Marco Intravaia parla di «passaggio sconcertante», dimenticando che proprio il suo partito ha fatto salire a bordo un intero gruppo di transfughi del M5S, Attiva Sicilia, tramite la scialuppa di DiventeràBellissima. Ma il punto è un altro: qualcuno ha capito che Renato Schifani sta giocando una partita importante. E la prova muscolare del Politeama di Palermo, sabato con quasi duemila persone, è soltanto una tappa di un percorso ben più ambizioso. Puntellato da altri indizi concordanti. L’ingresso dell’ex viceministro di Giuseppe Conte ed ex sottosegretario di Mario Draghi ha accesso sul governatore (di fatto il leader regionale di Forza Italia, affidata al fedelissimo commissario Marcello Caruso) i riflettori nazionali, così come già le crociate su caro-voli e infrastrutture.
Un quadro completato dal «partito accogliente», con lo sguardo agli orfani del divorzio Calenda-Renzi, in cerca di «una casa dei valori», ricorda a BlogSicilia. Così, col consueto understatement , l’ex presidente del Senato s’è già preso un posto in primissima fila. Alla convention nazionale del partito, in programma a Milano il 5 e 6 maggio, ma anche nello scenario post-Cav che tutti, Schifani compreso, esorcizzano, ma che nessuno ignora. Sarà Marina Berlusconi a prendere le redini del partito-azienda? Magari sì, ma avrà bisogno di generali affidabili. E il nuovo viceré di Trinacria, dotato anche di un profilo di autorevolezza nazionale, lo è di certo. Con annesso granaio siciliano. «Se si votasse oggi alle Regionali – scommette il deputato Ars Nicola D’Agostino – grazie al lavoro del presidente, Forza Italia avrebbe oltre il 15 per cento dei consensi».
Un pacchetto destinato a essere incrementato. Con l’accoglienza di nuovi singoli (anche all’Ars?) o magari, a regime, grazie al risultato del silenzioso lavoro tessuto da Totò Cardinale, fra i consiglieri più quotati a Palazzo d’Orléans, con Nino Minardo. Senza urgenza, dopo la scalata di Schifani a Fi, ma con sagacia. L’ex segretario regionale della Lega, infatti, non nasconde a LiveSicilia di «lavorare per dare risposte ai moderati delusi». Per adesso senza uscire dal partito di Matteo Salvini, nel frattempo sottoposto all’occupazione militare di Luca Sammartino.
Il vicepresidente della Regione alle Amministrative punterà sul simbolo “Carroccio-free” di Prima l’Italia e in prospettiva Europee dialoga molto al centro. Soprattutto con Cuffaro, l’ultimo ad abbandonare il fronte della candidatura di Valeria Sudano sotto il Vulcano. E Totà vasa-vasa è prodigo di sbaciucchiamenti virtuali per il Matteo con cui prima militava Sammartino. Solo casualità? «Sono contento che Renzi, con cui abbiamo feeling, abbia rotto con Calenda, che è troppo di sinistra per fare scelte d’altro tipo», ammette Cuffaro. Qui torna il fantasma della cena a Cefalù. E lo scenario dell’Araba fenice centrista, Forza Italia Viva, da costruire dentro (o fuori) il partito azzurro. Assieme a tutti quelli che non vogliono morire meloniani.
Dalle falde dell’Etna, in questo senso, arriva un altro preciso segnale: l’apertura del leader calendiano Giuseppe Castiglione rivolta a Enrico Trantino. «Profilo autorevole, pronti a sederci a un tavolo urgente sul programma», afferma l’ex sottosegretario. Castiglione pone però una condizione politica: l’avvocato indicato da FdI deve «andare oltre il centrodestra tradizionale, aprendo a partiti e civici di area moderata». Il deputato sembra parlare non a titolo personale, ma in nome di un partito che a Roma è all’opposizione. L’idea, se l’accordo si chiudesse, è piazzare candidati calendiani nella lista civica “Trantino Sindaco”. Il che suscita un certo disappunto da parte proprio di Cuffaro, avvistato dalla social star “Pippo Grifo” in un bar catanese con il mitico Pino Firrarello. «Un contenitore per i loro nomi ce l’hanno: è la Dc, che nel simbolo elettorale metterà pure la parola “moderati”», assicura l’ex governatore. Al quale da Bronte fanno sapere che «la scelta di una civica è politicamente meno invasiva di quella di entrare nella lista di un partito».
Ma il sostegno a Trantino non lo è allora? Per Castiglione, a ogni modo, «non bisogna mollare nella costruzione di una grande area popolare, per cui continuerò a impegnarmi, liberale e riformista». Senza più Renzi (in altre faccende affaccendato con i forzisti anti-Meloni), ma con «un dialogo serrato con tutte le anime che occupano il centro», per «rafforzare Azione: le Europee saranno col proporzionale, quindi unicuique suum».
Un latinorum che è musica per le orecchie di Raffaele Lombardo. Che ha rotto con la Lega (detesta, ricambiato, Sammartino), flirta amabilmente con FdI, ma, pur non essendo un cultore del pistacchio, guarda soprattutto a Calenda. «Ci siamo sentiti spesso e anche visti, l’ho ringraziato per le belle parole che ha avuto per me e ci siamo ripromessi di rincontrarci dopo le elezioni». Per discutere di una strada verso Bruxelles? «Io, personalmente, non ho più l’età per salire e scendere dagli aerei e stare lontano da casa. Ma vi assicuro – sillaba Lombardo a Telecolor – che il mio movimento eleggerà un deputato europeo». Con chi? «Sfidando chi mi sfotte quando lo dico, sarà la maggioranza di una qualificata assemblea di dirigenti a deciderlo». Cioè lui stesso, al momento giusto, sempre con l’opzione FdI aperta.
Resta sempre un centro di gravità permanente. Piccolo, minuscolo guardando ai dati nazionali alle urne. Ma in Sicilia, un po’ per nostalgico orgoglio e un po’ per effettivo peso elettorale, i post diccì non mollano. Erano tanti, tantissimi, gli orfanelli della Balena Bianca, ad ascoltare, giovedì scorso a Messina, l’highlander Pierferdinando Casini, l’ultimo dei democristiani, alla presentazione del suo libro “C’era una volta la politica”. Un appuntamento organizzato con la discreta regia di Gianpiero D’Alia (giudice della Corte dei conti nominato dal governo Draghi), con un ospite d’eccezione: Angelino Alfano. Il successore predestinato del Cav, leader centrista mancato, ora in rigorosa grisaglia da top manager della sanità privata, centellina le parole sul logorio politico dei tempi moderni. Ma, applauditissimo, consegna al pubblico una grande verità: «La Dc è finita, ma non la cultura della Dc».
Twitter: @MarioBarresi