Quasi ogni giorno gli operatori del 112 Numero Unico Emergenza ricevono telefonate di madri, padri, mogli, sorelle e fratelli che sono aggrediti o minacciati da loro parenti per ottenere i soldi necessari ad acquistare la dose di droga. In particolare crack.
Totalmente fuori controllo. Arrivano a minacciare anche con le pistole. Da più parti della città si leva un grido di aiuto per poter fermare questa mattanza silenziosa. Le piazze di spaccio crescono come funghi. Carabinieri e polizia li ripuliscono ma in poche ore sono nuovamente allestite. E il crack resta la sostanza più richiesta: perché è più economica e per gli effetti che produce dopo l’assunzione.
La mafia si arricchisce avvelenando tanti giovani che si stanno trasformando in zombie. E per poter ottenere il cristallo da fumare si è pronti anche a fare dei furtarelli. In alcune “case dello spaccio” sono stati trovati gruppi luce di una Fiat 500 L. Un nuovo mezzo di pagamento. Una mamma disperata ha raccontato di essere rientrata a casa e di non aver trovato più il televisore al suo posto. Il figlio lo avrebbe scambiato per potersi “sballare”.
Una strada quella della droga che può produrre anche tragedie. Lo sa bene il farmacista palermitano Francesco Zavatteri che ha visto morire suo figlio Giulio – aveva appena 19 anni – per questa terribile dipendenza. Overdose. Quel dolore lacerante qualche giorno fa il professionista lo ha raccontato in un incontro organizzato nel catanese. «Serve una mobilitazione civile da parte di tutti noi per fermare questa mattanza», dice. Chiede ai cittadini di «filmare le piazze di spaccio e consegnare i video alle forze dell’ordine. Non dimentichiamo che dietro questi traffici ci sono i clan mafiosi. Che si arricchiscono sulla pelle dei nostri figli».
Francesco è appena tornato da un viaggio in Spagna. E per uno strano scherzo del destino ha rivissuto la sensazione di impotenza che ha avuto quando alle 6,30 del mattino ha toccato il corpo ormai freddo di Giulio. «Ero con la mia compagna sulla navetta per arrivare all’aeroporto e ho notato un ragazzo che era svenuto, che aveva vomitato anche sangue. La cosa aberrante è che tutti facevano finta di niente e si voltavano dall’altra parte. Io avrei voluto avvicinarmi, aiutarlo, sostenerlo. Eppure l’unica cosa che ho potuto fare è stata segnalare la sua presenza alle forze dell’ordine. Per tutto il volo di ritorno quell’immagine è stata il mio pensiero fisso. Era come se avessi rivisto mio figlio», confessa al telefono.
Zavatteri è un fiume in piena. Le sue ferite le ha volute tramutare in lotta. Perché nel mondo non ci siano altre vittime. «Servono norme più severe per chi spaccia queste sostanze. Almeno dovrebbero subire delle condanne di 20 anni di carcere. Quello che fanno è un omicidio a rate», è l’appello di Francesco. E poi «noi genitori dobbiamo avere la facoltà di poter denunciare i nostri figli in modo da poterli mandare in comunità per il tempo necessario a salvarli, a farli uscire da questo tunnel mortale».
Il crack è una bomba ad orologeria per molte famiglie. Che sono state distrutte, lacerate. Ci sono ragazzine che arrivano anche a prostituirsi per ottenere i soldi necessari da consegnare ai pusher. C’è un dramma sociale davanti agli occhi di tutti. Ma davanti a questo dramma le Istituzioni sembrano cieche. Dobbiamo scavare e cercare di capire porta i giovani a voler perdersi in questa realtà artificiale. «Secondo me c’è tanta sofferenza. Quando racconto la storia di Giulio durante le conferenze nelle scuole, molti studenti poi si avvicinano in lacrime. E mi chiedono aiuto».
Giulio era un ragazzo fuori dal comune. Parlava due lingue, scriveva musica. Zavatteri ha il cuore ferito, ma «sto provando a fare qualcosa di concreto. Lo devo alla sua memoria».
Francesco ha fatto scrivere su alcune magliette un messaggio. «Non farti rubare la felicità dalle sostanze».