Siracusa
La vita spericolata di Pippo Gennuso: l’imperatore di Rosolini fra inchieste ed eccessi
E dire che per lui tutto comincia – ironia della sorte – con la stessa accusa del “pregiudicato” Beppe Grillo. «Omicidio colposo a seguito di incidente stradale». La vita spericolata di Pippo Gennuso ha una data d’inizio: il 16 aprile 1975 i carabinieri di Ispica lo deferiscono alla Pretura. Com’è finita questa storia? «Sconoscesi esito», annotano i militari del Nucleo investigativo del Reparto operativo di Siracusa, in un’informativa ai pm che hanno indagato sul deputato regionale arrestato lunedì a Rosolini per voto di scambio con la mafia.
Tanti guai giudiziari, ma zero condanne. “Zu’ Pippu”, come lo chiamano i sodali nelle intercettazioni dell’inchiesta di Catania, ne è sempre uscito indenne. Rispondendo con raffiche di querele a chi s’è permesso di «infangare la mia onorabilità».
Nella “scheda biografica” stilata dall’Arma su Gennuso non si citano soltanto infrazioni al Codice della strada (gli è stata ritirata la patente due volte, nel 2003 e nel 2011), ma anche altre accuse. Violenza privata e reati contro l’amministrazione della giustizia (denuncia dei carabinieri di Ragusa del 1980): «Sconoscesi esito»; su lesioni personali, reati contro la persona, furto (Pretura di Venezia, 1996) ed emissione di assegni a vuoto (Tribunale di Venezia) nell’informativa si parla di condanne senza ulteriori specifiche. Ma il casellario giudiziario è pulito. Una scia di trionfi. Peculato nel 1989: assolto perché il fatto non sussiste; truffa nel 1991: archiviato per amnistia; detenzione abusiva di armi nel 1993: multa di 400.000 lire; appropriazione indebita nel 1993 e nel 1994: non doversi procedere per oblazione; violazione legge di Pubblica sicurezza nel 1995: reato estinto per oblazione; calunnia e simulazione: archiviato per mancanza di condizioni; abuso d’ufficio nel 1997: archiviato per prescrizione; truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche nel 2001: assolto perché il fatto non sussiste; truffa nel 1995: archiviato per prescrizione.
Bazzecole, quisquilie, pinzellacchere. Condanne zero.
Impresentabile? Gennuso, eletto per la quarta volta all’Ars con 6.567 voti nel collegio di Siracusa, impresentabile lo era nel papello ora risventolato dai grillini. Per Cancelleri sì, fors’anche per Lombroso. Giammai per leggi e codici etici della retorica antimafiosa. Ma si può escludere un re delle preferenze perché è chiacchierato? La risposta dei suoi partiti: no.
Gennuso alle Regionali è con gli Autonomisti e Popolari, ma di fatto ora è un esponente di Forza Italia. Per pura coincidenza, proprio lunedì mattina (qualche ora prima dell’arresto) un comunicato lo incorona in un «ruolo di spicco»: commissario per la zona sud del Siracusano. «Siamo increduli, con noi è stato leale», dice il commissario provinciale Bruno Alicata nel silenzio dei big forzisti. Del resto, pur ancora con centristi a Sala d’Ercole, il cuore di Gennuso batte già da un pezzo per Berlusconi. Tanto da far candidare la nuora Daniela Armenio all’uninominale della Camera: 29.396 voti (29,25%) , travolta però dall’onda gialla del M5S. L’ultimo flirt forzista è oggetto di scontro fra Stefania Prestigiacomo e i ribelli aretusei capeggiati dal sindaco di Avola, Luca Cannata (fratello della deputata regionale Rossana), contrari al nuovo acquisto rosolinese. Ma la spunta lui. Come sempre.
In gioventù è una giovane marmotta democristiana, scoperto da un talent scout coi baffi: l’ex deputato Pippo Gianni, poi rinnegato (e sconfitto alle urne) da Gennuso. Percorso Dc-Udc-Ccd. Prima di arruolarsi nell’esercito autonomista di Raffaele Lombardo. Che con il deputato di Rosolini ha «rapporti molto tormentati, fatti di odio e amore», ricorda Enzo Vinciullo.
«Una macchina da campagna elettorale», lo definiscono i suoi colleghi centisti. Eletto nel 2006, nel 2008 e nel 2017, Gennuso, nel 2012 candidato Mpa, manca il seggio all’Ars per 49 voti. Vince proprio Gianni. E da lì parte la battaglia della vita. Carte bollate e ricorsi. Ma anche un pressing sull’opinione pubblica: celebri le sue foto incatenato contro Rosario Crocetta che si rifiuta di indire le elezioni-bis per la remuntada di Gennuso. Che, il 16 maggio 2014, in piena campagna elettorale delle Europee, fa un blitz sotto il palco del governatore che comiziava in piazza Pancali, a Siracusa, con la candidata Michela Stancheris. Provocazioni, insulti incrociati. Deve intervenire la polizia per riportare la calma.
Alla fine quella partita Gennuso la vince. Ai tempi supplementari, beffando l’amico-nemico Gianni nei pochi seggi di Pachino e Rosolini di un’elezione surreale. Tanto strana da portare il gip di Palermo a respingere l’archiviazione proposta dal pm, chiedendo di approfondire – per corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreto d’ufficio – la posizione di alcuni dei 15 indagati. Fra i quali Gennuso e il figlio Riccardo, ma anche gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, fra gli arrestati della cricca “ammazza-sentenze” di Siracusa. Il gip, estendendo l’inchiesta all’ex presidente del Cga, Raffaele De Lipsis, chiede di verificare la posizione di Gennuso «diretta a influenzare l’esito del giudizio presso il Consiglio di Giustizia amministrativa». Nelle carte dell’inchiesta, anche i passaggi – svelati per la prima volta da La Sicilia il 13 febbraio scorso – d’intercettazioni in cui il deputato regionale e i figli parlano di «cassette di papaya» da trasportare e di «sacchetti di plastica» da riempire con un non meglio identificato contenuto. Alla vigilia di un viaggio a Roma.
Il vizio di vincere sempre gli costa, nel 2016, un’altra indagine per corruzione elettorale: 6mila euro a un suo ex fedelissimo per non far candidare la moglie nel Megafono e schierarla invece nella lista di Corrado Gennuso, fratello del deputato. La vicenda, dopo una perizia calligrafica sugli assegni, s’è sgonfiata. «Era solo un prestito».
Gennuso è un self-made man. Nel lavoro, prima ancora che nella politica. Figlio di un muratore, lavora col padre in una cava di creta a Rosolini che diventa una miniera di mattoni forati che farciranno le costruzioni del sud-est siracusano. Instancabile, rileva una pompa di benzina in paese e comincia a lavorare per una ditta edile. È bravo, risolve problemi. Cresce e si mette in proprio. Prima resta nell’edilizia e poi diversifica. A partire dai servizi idrici, incappando in un’indagine (truffa aggravata, adulterazione di sostanze alimentari e frode nell’esercizio del commercio) come «amministratore di fatto» del Consorzio Granelli che gestisce un depuratore. Poi si butta nel turismo, nella ristorazione e soprattutto nel redditizio mondo delle sale Bingo, con società familiari in Sicilia, a Roma e a Monza. In quest’ultimo ambito è protagonista di due vicende giudiziarie. Nella prima è parte lesa. Denuncia, assieme al figlio Riccardo, la richiesta dei boss palermitani, pur non costituendosi parte civile al processo. «Non voglio fare la fine di Libero Grassi», sbotta dopo che il prefetto di Siracusa gli nega il rinnovo del porto d’armi. Ma nel 2011 il risvolto della medaglia: finisce, per falso e occultamento di documenti pubblici, in un’inchiesta a Palermo su escort e viaggi offerti dalla mafia a funzionari dei Monopòli. «Non si può essere indagati per una telefonata di lavoro, non siamo in uno Stato di polizia», la sua piccata reazione. Ma anche qui sentenza di non luogo a procedere.
Di lotta e di governo, Gennuso. S’incatena decine di volte per denunciare «la vergogna dei ritardi sulla Siracusa-Gela» e poi si fa pizzicare dalle telecamere di La Vita in diretta mentre percorre il tratto d’autostrada prima che sia aperto. Sanguigno e generoso, nel 2016 propone ai colleghi dell’Ars di versare un mese di stipendio ai terremotati di Marche e Lazio. Lui che, 72.936 euro di reddito lordo dichiarato, grazie a una norma in vigore fino al 2012, riscatta con 50mila euro cash i cinque anni fuori da Sala d’Ercole a cavallo di due legislature, raddoppiando così i contributi “virtuali”. Risultato: un vitalizio da 4.500 euro lordi al mese. Nel suo paese e non solo lo descrivono come «generoso, soprattutto con i più deboli, perché lui è uno che s’è fatto da solo». Ma ad Avola lo ricordano pure, quando – nel 2012, alla festa di Santa Venera – parcheggia la sua auto blu in controsenso in piena zona pedonale, ostruendo il passaggio dell’ambulanza delle Misericordie.
Amato, seppur chiacchierato. Gennuso riesce pure a far dimenticare pure il fango dell’inchiesta “Ducezio”. Da presunta vittima di estorsione a sospettato di contatti con il clan Trigilia di Noto. Al deputato sequestrano pure l’hotel “Europa” (all’interno del quale vengono trovati proiettili calibro 38 e 75) perché ritenuto, come si legge nell’informativa dei carabinieri, «persona molto vicina» al boss Antonino “Pino” Trigilia «al punto da condividere con lui anche interessi societari in alcune attività». Lo stesso Trigilia, intercettato, dice: «Lo conosco Pippo Gennuso da una vita, non da un giorno. L’unica società che ho avuto con Gennuso è la società di calcestruzzo». Affermazioni che per gli investigatori «collimano con quelle dei collaboratori di giustizia», ovvero Vincenzo Liistro e Filippo Indaco. Ma l’indagine finisce col dissequestro dei beni e tante scuse a Gennuso: estraneo ai fatti.
E adesso, di nuovo, l’ombra della mafia nell’ultima indagine. Gli arresti domiciliari, la surroga già pronta sullo scranno dell’Ars. Unica consolazione: gli subentrerà una sua fedelissima, Daniela Ternullo, vicesindaco di Melilli, prima dei non eletti alle Regionali. «Non era così che volevo diventare deputato», afferma, certa che il suo pigmalione «dimostrerà la sua estraneità». E la ricordano, la neo-deputata, sul palco dopo lo spoglio elettorale. Felice dei suoi 1.790 voti. «Ringrazio comunque l’onorevole Gennuso per l’opportunità che mi ha dato».
Quasi un presagio, col senno di poi.
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