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Giuseppe Romano, “sciuscià” da 77 anni: «Oggi “restauro” scarpe»
Caltanissetta – Nell’immediato dopoguerra, una delle condizioni che accresceva il prestigio dei benestanti era anche quello di tenere stivali e scarponi sempre puliti e lucidissimi. Era probabilmente la conquista (seppur effimera) dello “status” di chi cominciava a rimboccarsi le maniche per ripartire e rinascere dalle macerie della seconda guerra mondiale. A Caltanissetta, come in tutte le altre città, cominciarono a proliferare arti e mestieri anche inediti, frutto dell’inventiva delle persone che avevano necessità di portare un “pezzo di pane” in famiglia. E si diedero da fare anche i ragazzini, che piuttosto che trovare un lavoro rischioso nelle viscere della terra all’interno delle miniere di zolfo attive in territorio di Caltanissetta (andando ad ingrossare la schiera dei “carusi” sfruttati, alcuni dei quali rimasti vittime di rovinosi crolli), impararono presto – istruiti dai rispettivi genitori – a lucidare le scarpe delle persone che, pagando 6 centesimi, ci tenevano ad avere le scarpe pulite e lucide, soprattutto nei giorni festivi. Nacquero i lustrascarpe che a Napoli chiamarono “sciuscià” (termine mutuato dall’omonimo film di Vittorio De Sica) e che a Caltanissetta furono definiti “lustrini”. Addirittura nella seconda metà degli anni ’40 i lustrascarpe (anzi i “lustrini”) erano 32: tra questi, 7 appartenenti alla famiglia Zappia, 3 alla famiglia Romano e altrettanti alla famiglia Calamera, oltre a vari… autonomi.
Dei Romano (papà Salvatore, figli Giuseppe e Michele) due continuano a svolgere ancora oggi questo mestiere a distanza di oltre 70 anni: Giuseppe che nei giorni scorsi ha festeggiato i 90 anni e il fratello Michele che di anni ne ha 84. «Avevo 13 anni – dice oggi Giuseppe Romano in un momento di pausa del suo lavoro che continua a svolgere con immutata passione – per cui è da 77 anni che lucido le scarpe dei miei concittadini. Prima erano tantissimi, tanto che anche mio fratello Michele accettò di seguire me che cominciavo a collaborare con nostro padre. Oggi io sono posizionato in corso Umberto, postazione che mantengo da oltre 60 anni, mentre mio fratello è a qualche centinaio di metri di distanza, sempre lungo corso Umberto, al di là di piazza Garibaldi. Con questo mestiere abbiamo potuto mettere su famiglia. Dal mio matrimonio (che oggi mi vede orfano di mia moglie, deceduta 6 anni fa) sono nati quattro figli. Attualmente vivo con mia figlia, ma il mio impegno quotidiano è quello di sempre: allestire ogni mattina la postazione con un seggiolone per il cliente, una cassetta da cui sporge una sagoma in ferro su cui il cliente poggia il piede, un ombrellone per proteggere dal sole o dalla pioggia me e il cliente, il mio sgabello e una cassetta con gli attrezzi (spazzole, lucido e anilina da utilizzare in base al colore delle scarpe da trattare)».
Il lavoro di Giuseppe Romano, come quello del fratello, da sempre avviene all’aperto. Con il passare degli anni, l’unico accorgimento adottato dal decano dei “lustrini” è un pannello in legno che colloca alle sua spalle per ripararlo dal vento. Per il resto, tutto è come 77 anni fa, quando anche lui decise di intraprendere questo mestiere. «In quegli anni – ricorda il novantenne “lustrino” – spesso la pelle delle scarpe era già passata sotto le abili mani dei ciabattini dell’epoca chiamati ad eliminare le crepe dell’usura, e a noi spettava il compito di lucidarle così bene da nascondere i rattoppi». E sul filo dei ricordi, il più grande dei fratelli Romano continua: «Durante la settimana lavoravamo soprattutto con i commercianti locali e gli impiegati, molti dei quali facevano addirittura l’abbonamento mensile e venivano da noi una o due volte a settimana. A calzare scarpe ben lucidate erano moltissimi nisseni, e noi facevamo a gara per farle brillare il più possibile».
Oggi il lavoro non è più come prima. Sul seggiolone della sua postazione si seggono sempre meno persone, mentre altri portano le scarpe da lucidare in una busta e il giorno dopo tornano a ritirarle ripulite e lucidate. «Per lucidare un paio di scarpe – sottolinea Giuseppe Romano – oggi chiediamo 3 euro, e il numero dei clienti si è notevolmente assottigliato. Colpa anche delle scarpe in tela o in camoscio, che un po’ tutti oggi calzano. Sono sempre meno infatti le persone che continuano a calzare scarpe tradizionali, in pelle, e anche loro non le curano come un tempo. Non abbiamo più i clienti settimanali. Vengono di tanto in tanto e a noi spetta il compito di “resuscitare” scarpe sempre più in… agonia». Dopo tanti anni di lavoro svolto sotto il sole e soprattutto anche nei mesi invernali, resta un piacevole… mistero come Giuseppe Romano, raggiunto il traguardo dei 90 anni, sia ancora arzillo e operativo nella sua postazione a cielo aperto sistemata nei pressi della chiesa di Sant’Agata al Collegio. «Godo di ottima salute – replica prontamente – non ho dolori, e non posso fare a meno di ritrovarmi ogni mattina nella mia consueta postazione di lavoro. Ho deciso però di limitare le mie prestazioni soltanto nelle ore mattutine. In queste 3-4 ore io vedo gente, ricevo clienti, mi intrattengo con amici che si fermano a parlare con me. E questo è bellissimo, mi consente di andare avanti con gioia».
Ma Giuseppe Romano, nel giorno del suo compleanno , ha potuto verificare quanto sia stimato e apprezzato anche dagli altri operatori commerciali della zona, che lo hanno festeggiato con una torta sulla quale era scritto “A Te che sei un pezzo di storia”. Cosa che gli ha fatto immenso piacere e che lo stimolerà a continuare in questo lavoro. Lui d’altra parte non si pone limiti. Giuseppe Romano, così come il fratello Michele, continueranno a lavorare così come hanno cominciato da ragazzini: curvi sulle scarpe dei clienti e a cielo aperto. Con la nostalgia di un tempo quando facevano “miracoli” per rivitalizzare le scarpe dei clienti.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA