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Deputato catanese Cappellani lascia il M5S con stoccata ai leader siciliani

Di Mario Barresi |

Catania – «Quanto scrivo è doloroso a me per primo». Nessun problema con la password della sua casella di posta elettronica. Da cui è partita la lettera di dimissioni dal gruppo dei Cinquestelle alla Camera. Ieri a tarda ora, poco prima che la mezzanotte scandisse l’inizio dell’ennesimo “D-day” grillino: quello delle espulsioni dei parlamentari più riottosi (e ritardatari) nella restituzione di parte delle indennità. «Non avrebbe senso rimanere in una squadra in cui non ci si riconosce più». Santi Cappellani lascia il M5S. Magari poco prima di essere cacciato: oggi alle 12 i tre probiviri pentastellati decideranno sulla lista nera. «Purtroppo avverto da tempo una profonda frustrazione», dice il deputato etneo al leader Luigi Di Maio, al capogruppo Davide Crippa e al direttivo di Montecitorio. Una «frustrazione» multipla: di «non poter rappresentare il temine di cui ci fregiamo» (portavoce) e di «non poter rispondere ai territori per non minare gli equilibri di questo o quel governo».

Quella di Cappellani – 29 anni, studente di Psicologia e manager nell’azienda di famiglia – è un’autocritica: «Ci siamo imborghesiti, siamo finiti in una spirale di autoreferenzialità». Ma soprattutto un’accusa ai vertici M5S: «Quando sento la frase “pugno di ferro” rabbidivisco». Sembra lontano il 2014, quando c’era «una grande comunità, costruita sulla fiducia reciproca e sul comune obiettivo di migliorare il Paese», quando «entrai nei meetup», poi «cancellati». Più ascolto a «comunicazione e sondaggi», abbandonando «il sentire comune e la base». E «mentre ci si apriva giustamente alla società civile con gli uninominali, si cancellavano dalle liste attivisti storici, senza alcuna motivazione», ricorda Cappellani. Che contesta «una serie di azioni di imperio che hanno fatto venire meno proprio il sentirsi comunità», a partire dai “facilitatori” voluti da Di Maio, con la «volontà di eliminare ogni voce critica e ogni pensiero pensante».

Infine, stoccata ai leader siciliani (zero feeling da sempre con Giancarlo Cancelleri e con Ignazio Corrao): nell’Isola il M5S «è in preda all’anarchia, non vi è una linea comune, molto spesso, e senza confronto, vengono prese posizioni contro i nostri stessi alleati di governo e contro le azioni dei nostri stessi ministri. Gli amministratori locali sono abbandonati a se stessi. E mi fermo qui».

Cappellani ringrazia «le persone più isolate», ovvero quelle «motivate, preparate e mosse dai più nobili scopi», con le quali «continuerò a collaborare». E va via. Destinazione gruppo misto, ma «continuerò – giura – il mio impegno riformatore e sosterrò il governo Conte bis con pieno impegno e convinzione». Di certo, chi lo conosce, giura che non finirà mai alla Lega. Magari in altri lidi governativi, chissà – forse – lo stesso Pd di Paolo Gentiloni oggetto di lodi social del deputato catanese ormai ex grillino. Ma Di Maio ha altro a cui pensare. «Fai votare la mia espulsione dagli iscritti, o hai paura?», è il guanto di sfida lanciato dal senatore Gianluigi Paragone.

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