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Alla Regione Siciliana ripartono i concorsi Musumeci: «Il primo bando entro l’anno»

Di Mario Barresi |

Catania – La verità, quando si parla di posti nelle dorate scrivanie di “mamma Regione”, non è quasi mai a senso unico. Perché è vero – come emerso sabato, dopo che il centro studi Pio La Torre ha rilanciato i dati, non inediti ma di certo significativi, della Corte dei conti – che si pagano «troppi dipendenti poco qualificati e assunti con criteri non meritocratici». Ma è altrettanto vero che – come conferma anche Palazzo d’Orléans – la macchina burocratica regionale rischia di incepparsi di qui a tre anni, fra pensionamenti naturali e fughe verso quota 100, e dunque il governo regionale prepara una «campagna di assunzioni» a partire dalla fine di quest’anno.

Sos della Corte dei conti

Partiamo dai numeri. La Corte dei Conti , sezione Autonomie, ha pubblicato i dati della Relazione 2019 sulla spesa per il personale degli enti territoriali. Sulla Regione Siciliana l’economista Franco Garufi ricorda: «Alla fine del 2017 gli impiegati erano 14.921, un esercito più numeroso dell’intera area Nord che ne contava 14.418. La denuncia, mai ascoltata: assunzioni clientelari e non di merito. Risultato: uffici pieni e inefficienti». Fra il 2015 e il 2017 i dirigenti regionali sono scesi da 1.692 a 1.350, il personale non dirigenziale da 15.365 a 13.571. Nel 2017 la Regione contava 14.921 dipendenti, -12,52 % rispetto al 2015. Secondo i dati ripresi dal centro studi Pio La Torre, la Sicilia conta 2,97 dipendenti regionali ogni 1.000 abitanti; un dato superiore alla Sardegna (2,37), ma molto distante dalla Lombardia che ne ha appena 0,33. La spesa per il personale è scesa da 661.362.000 euro nel 2015 a 577.641.000 nel 2017 (-12,66%); il costo dei dirigenti da 135.131.000 a 115.876.000 euro, quello del comparto da 507.744.000 a 443.740.000 euro.

I numeri della Regione

Ma ci sono anche altri numeri. Nell’appendice statistica “Il settore pubblico: flussi finanziari e divari territoriali” del notiziario “Statistiche on line”, a cura della Ragioneria generale della Regione, diffusa dall’assessore all’Economia Gaetano Armao, la Sicilia è in linea con la media nazionale. Considerando il numero complessivo di dipendenti pubblici (dunque non soltanto regionali) per ogni mille abitanti, la cifra siciliana nel 2016 è pari a 54. Meno del Mezzogiorno (54,4) e di poco superiore al Centro-Nord (53,2) e alla media nazionale di 53,7. Certo, scremando le statistiche per comparto i risultati sono differenziati. Con un’incidenza maggiore dei dipendenti siciliani di Regione ed enti locali (54.834 in tutto), pari a 108,2 ogni 10mila abitanti, rispetto alla media nazionale di 88,6. Ma se, ad esempio, si considerano i dipendenti della sanità (coefficiente di 88,6 in Sicilia, con un 107 nazionale) o dell’università (11,4 contro 16 ogni 10mila abitanti) il risultato è meno univoco.

«Ovviamente è fuori di dubbio lo scempio perpetrato con la dirigenza di terza fascia (un’informata di promozioni con una legge del 2000, ndr) e con certe assunzioni ope legis – è il commento che trapela dal governo regionale – ma da qui a dire che siamo il bengodi d’Italia ne corre e i dati lo dimostrano»,

«Uso distorto» dei precari

Nella relazione della Corte dei conti, citando il duro giudizio del collegio siciliano, si legge: «La dimensione degli organici solo in parte trova giustificazione nella titolarità – per via dell’autonomia differenziata di cui gode la Regione siciliana – di funzioni altrove allocate a livello “statale”». E poi si arriva al punto: «Il settore pubblico è stato, invece, storicamente piegato, attraverso un uso distorto delle politiche assunzionali, a supplire all’incapacità del tessuto produttivo di assorbire la forza lavoro espressa nella Regione. Ne è derivata la chiusura alle opportunità di reclutamento attraverso le ordinarie procedure concorsuali e meritocratiche, sostituite da lunghi e complessi percorsi di stabilizzazione del personale precario, tuttora condizionanti le politiche del personale e la legislazione in materia, con il conseguente innalzamento dell’età anagrafica del personale in servizio e l’inevitabile creazione di una vera e propria frattura generazionale, oltre all’evidente vulnus ai valori costituzionali che regolano l’accesso al pubblico impiego e garantiscono il buon andamento della pubblica amministrazione».

Musumeci: «Assumiamo»

Nello Musumeci si allinea al duro giudizio della magistratura contabile. «La Regione è stata, per settant’anni, un ammortizzatore sociale: spesso premiando l’appartenenza piuttosto che il merito», è stato il commento a caldo del governatore. Che ha aggiunto: «Con il mio governo è iniziata la cura dimagrante e punteremo solo ad acquisire quelle professionalità che mancano, indispensabili per fare della Regione un motore di crescita e di sviluppo».

E qui si apre il taglio delle novità, annunciate dallo stesso Musumeci a margine dell’intervista pubblicata a Ferragosto su La Sicilia. Quando gli abbiamo chiesto se a settembre il governo regionale dovesse affrontare qualche esame di riparazione, il presidente ci ha risposto così: «Nessun esame di riparazione. A settembre ci dedicheremo alla pianta organica. Una sofferenza che sopportiamo con cristiana rassegnazione da un anno e mezzo. Alcuni giorni fa abbiamo sbloccato i concorsi. Stiamo già valutando di quante risorse finanziarie disponiamo per mettere a bando alcune centinaia di posti per figure professionali qualificate: ingegneri, architetti, geologi, avvocati, agronomi, commercialisti. Entro l’anno penso che pubblicheremo il primo bando». Aggiungendo un’altra notizia: «Abbiamo anche sbloccato le assunzioni al Corpo delle guardie forestali, che si è ridotto a poche centinaia di unità, quasi tutte anziane, mentre nelle campagne c’è bisogno di energie fresche. Perciò pensiamo di assumere 200/300 guardie fra laureati e diplomati, per la tutela ambientale e come deterrenti alla criminalità rurale».

Il piano del turn over

Conferma l’assessore Armao: «Il governo Musumeci ha la necessità di assicurare il turn over, senza il quale entro tre anni interi settori dell’amministrazione regionale si bloccheranno non potendo essere governati da agronomi ed architetti, presenti in misura preponderante tra la dirigenza». Del resto, la prospettiva delle assunzioni è messa nero su bianco nel Defr (Documento di economia e finanza regionale), ma anche in due leggi – la 14/2019 e la 15/2019 – approvate all’Ars. Nel 2020 è previsto l’impiego di 2,8 milioni, di cui 793mila euro per le assunzioni dei dirigenti (30% del turn over: circa 35 assunzioni sui 110 alti burocrati in pensione quest’anno) e oltre due milioni per l’ingresso dei dipendenti del comparto (il 75% dei 400 che usciranno nel 2019, quindi circa 300 nuovi posti). Lo stesso meccanismo varrà per il 2021 (3,7 milioni a disposizione per assorbire l’85% dei dipendenti e il 40% dei dirigenti in pensione nel 2020) e per il 2022, con un’ipotesi di spesa di 3,1 milioni per assumere lo stesso numero di dipendenti del comparto in pensione l’anno precedente e 1,3 milioni per coprire il 50% dei vertici usciti l’anno precedente. Ma in pole position per le future assunzioni ci sono – a dispetto delle dure parole della Corte dei conti sull’«uso distorto» delle stabilizzazioni – i quasi 600 precari storici della Regione che si aggiungono ai 14 fra parenti di vittime di mafia e di testimoni di giustizia, al netto dei 91 del contenzioso ai Beni culturali. I concorsi, dunque, non sono un capriccio. Né una trovata elettorale. Ma a quel punto saremo vicinissimi alle prossime Regionali. Il che, per un Musumeci sempre meno convinto di ritirarsi in campagna a Militello dopo il 2022, non guasta. Anzi.

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