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In Sicilia si può ripartire da un’economia “altra”

Di Carmen Greco |

CATANIA. Ora che la parola “cambiamento” si legge in tutti gli editoriali, in tutte le analisi, in tutti i post, il problema è capire “come”. Una riflessione che pochi giorni prima dello stop dovuto all’emergenza sanitaria aveva radunato in quel di Pergusa una sessantina di persone, piccoli imprenditori, agricoltori, educatori, agenti di viaggi sostenibili, già nel loro piccolo, “attori” del cambiamento in Sicilia.

Obiettivo, dare vita alla “cellula” siciliana di “Italia che cambia” il progetto ideato dal giornalista Daniel Tarozzi che punta a mettere in rete tutte quelle realtà attive sul territorio portatrici di un’economia “altra”, oltre cioè quella della pura ragione di mercato che consideri anche le relazioni umane, la sostenibilità ambientale, il lavoro buono, pulito e giusto, tanto per citare il vecchio slogan di Slow Food.

Un ragionamento che in questo periodo in cui ci si straccia le vesti per un “ritorno all’essenzialità e alle “vere priorità della vita”, qualcuno aveva messo in pratica già da anni, senza che una pandemia venisse a scombussolare gli equilibri instabili del mondo.

 Ne sa qualcosa Roberto Li Calzi, agricoltore, che da tempo ha scelto questa strada con il suo progetto delle Galline Felici, ad Augusta, dando vita ad un consorzio di produttori che dell’agricoltura naturale hanno fatto la loro ragione di vita. «Con “Italia che cambia” siamo in relazione da tanti anni – dice – e da tempo progettavamo di dare vita a “Sicilia che cambia”, perché qui c’è tanto che si muove, ma è scollegato. I mio pallino, invece, è stato da sempre quello di mettere in rete tutte queste esperienze per dare loro forza e visibilità».

Roberto Li Calzi 

La pandemia ha messo, per il momento, tutto in stand by «ma non siamo fermi del tutto – assicura Selena Meli, neocoordinatrice di “Sicilia che cambia” e curatrice della community – il coronavirus ha cambiato un po’ i nostri piani, ma moltissime persone si sono messe in contatto con noi dopo l’incontro preliminare di Pergusa. La Sicilia non è quella che sempre ci viene raccontata, un terra ferma, che non si muove e non reagisce. Al contrario, ci sono gruppi, associazioni, persone, che si sono mobilitati, anche in queste settimane così difficili, per tenere vive le proprie attività mettendo in modo la creatività».

«Dopo le declinazioni regionali di “Italia che cambia”, in Piemonte, Liguria, nel Casentino – spiega Gabriele Giannetto, che sul sito di “Italia che cambia” ha firmato diversi reportage in giro per l’Isola – abbiamo scelto la Sicilia e, in effetti, l’interesse è stato immediato, tanto che abbiamo pensato di agire su base provinciale partendo da Catania, Siracusa e Palermo. A breve (speriamo) poi di poter replicare a livello regionale il tour che Daniel Tarozzi ha fatto in Italia con il camper (da cui il libro del 2013 “Io faccio così: Viaggio in camper alla scoperta dell’Italia che cambia” ndr) per raccontare tutte le realtà della nostra regione».

“Italia che cambia”, “Sicilia che cambia”, “Mondo che cambia”, dopo la pandemia ci sarà molto da scrivere e da ricostruire.

«È un momento in cui le persone si devono fermare – continua Giannetto – perché c’è un decreto che le obbliga a restare rinchiuse in casa. Noi invece raccontiamo di persone che si fermano quando tutto il resto del mondo va in una direzione opposta. Una cosa è il cambiamento indotto per paura, un’altra è il cambiamento perché lo senti, ne hai bisogno, e capisci che quella è la tua strada».

Gabriele Giannetto

«Questa è una buona occasione per ripensare alla nostra società, agli stili di vita, ai nostri consumi – osserva Roberto Li Calzi – che questo poi rappresenti una riflessione anche per chi detiene le leve del potere, non ne sono affatto convinto e se poi rappresenti il sentire di una grande fetta della popolazione non ho strumenti per dirlo. Appena le cose ritorneranno alla “normalità” il primo invito sarà quello di consumare tantissimo per rimettere in moto l’economia. Penso però che per una certa parte della popolazione la quale stava già facendo questo tipo di riflessioni (tipo dove cazzo stiamo andando?), questa crisi possa servire a fare finalmente il passo definitivo. Su questo sono molto fiducioso e questa convinzione mi viene anche dal fatto che casa mia, da un paio d’anni a questa parte, è meta di un pellegrinaggio di giovani “scollocati”. Gente che aveva la sua attività, anche bella, interessante, discretamente remunerata, a Parigi, a Lipsia, a Genova, dovunque e che attratta da questo “ciauru” di Galline felici viene qui, si piazzano un paio di mesi in campagna e cambia radicalmente vita. Molti stanno cercando alternative. Esiste tutta una generazione di 25-35enni che – nei fatti – ha avuto già tutto, ma contemporaneamente è la prima arrivata all’età matura con la consapevolezza che c’era poco futuro per la vita e per il pianeta in generale».

Tutto questo ragionamento è forse più immediato in Sicilia dove esiste ancora un rapporto con la terra. «La famosa, cosiddetta “arretratezza” – sostiene Li Calzi – ci preserva e ci fa tornare ad essere una meta privilegiata. Ci sono tante persone, anche straniere, che sono venute qui attratte dalla Sicilia, che stanno mettendo in circolo ricchezza, cultura, iniziative, lavoro, idee… gente che ha capito prima dei siciliani stessi, il grande valore, della campagna, cosa che in buona parte del mondo civilizzato, non c’è più. Di certo non siamo messi come la pianura padana. Tutto ciò ha un riflesso sulla qualità dei rapporti umani non indifferente».

Da dove ripartire quindi? Dalla “munnizza”, uno dei maggiori giacmenti siciliani. Nell’incontro n. 1 di “Sicilia che cambia” il tema principale che è venuto fuori è stato proprio quello dei rifiuti. «C’è una cooperativa sociale – rivela Li Calzi – che a Brescia si occupa di smaltire e valorizzare gli scarti della città, soprattutto nei supermercati è dà lavoro a 350 dipendenti di cui il 40% disabili riciclando tutto. Io credo che sia questo il genere di progetti dai quali bisogna ripartire».

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