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L’omicidio di Roberta: telecamere e amici, ecco come si è arrivati al fermo di Pietro

Di Mario Barresi |

TERMINI IMERESE – E così Pietro Morreale, giovane figliastro della generazione-social, viene incastrato anche dagli smartphone dei suoi amici. Telefonate, vocali, messaggi WhatsApp, “direct” su Instagram. Una nemesi, come in ogni tragedia. Narrata da black box che registrano tutti i dati sensibili delle loro vite. Anche quando si spezzano, come quella di Roberta Siragusa, 17 anni, trovata morta nelle campagne di Caccamo.

Nel decreto di fermo, firmato dal procuratore di Termini, Ambrogio Cartosio, e dal pm Giacomo Barbara, ci sono indizi pesanti contro il fidanzato, 19 anni, accusato di omicidio e occultamento di cadavere. “Selfie”, sfocati eppure inquietanti, di una notte di fuoco e di misteri.

A partire dalla prima versione fornita da Pietro ai carabinieri, con la copertura, secondo l’accusa, anche dei suoi familiari, che «si sono in alcune occasioni contraddetti». Farà scena muta nell’interrogatorio notturno, ma prima parla. Domenica mattina, mentre porta gli investigatori nel burrone di Monte San Calogero, dove c’è il corpo di Roberta. «È successa una cosa molto grave», dice Ivan Morreale al comandante della stazione di Caccamo.

Il padre di Pietro racconta che il figlio è rientrato alle 4, «sotto shock», tanto da svenire. È il prologo della versione del giovane: lei «è scesa dalla macchina, si è data fuoco e si è buttata di sotto», afferma indicando il dirupo, coperto da rovi e arbusti. Pietro sarebbe andato lì «per appartarsi in intimità» con la fidanzata. Ma, racconta, «a seguito di un litigio», la ragazza si sarebbe data fuoco con «una bottiglia di benzina che si trovava nella macchina dell’indagato», per «alimentare una Vespa», che teneva nel garage dei Siragusa, circostanza però «non riferita dai familiari della vittima». Lui avrebbe tentato «dapprima di spegnere le fiamme e soccorrere la fidanzata, ma poi sveniva»; quindi «sotto shock abbandonava il cadavere» e tornava a casa, aspettando che si svegliassero i genitori per raccontare loro l’accaduto.

Ma per la Procura «le versioni discordanti» e «il rilevante tempo trascorso tra l’evento e la chiamata alle forze dell’ordine» dimostrano «l’intenzione» di Morreale di «crearsi artatamente una versione dei fatti verosimile e di rallentare i soccorsi e l’attività d’indagine».

Gli indizi contro il fermato sono numerosi. In primis le testimonianze degli amici che erano sabato sera nella villetta di Monte San Calogero, alla festicciola immortalata dalla “storia” Instagram della vittima: una bottiglia di vodka alla pesca e dei bicchieri di plastica. Ora rischiano tutti una denuncia per violazione delle norme sulla zona rossa.

Ma i nove giovani sentiti, fra cui due minorenni, sono utili alla ricostruzione dei fatti. A partire dal rapporto fra i due fidanzati. Rivela un’ex compagna di scuola di Roberta: «So che Pietro la picchiava e la minacciava. Le diceva che sei lei avesse riferito di queste violenze, lui avrebbe fatto del male sia a lei che alla sua famiglia». Un altro ragazzo ricorda di «aver esortato più volte Roberta a interrompere la relazione con Pietro perché sarebbe accaduto qualcosa di brutto» e lei avrebbe ammesso che «aveva paura delle sue minacce». Per i pm Morreale «provava un sentimento “morboso” nei confronti della vittima», era «fortemente geloso, a tal punto di impedirle di frequentare le sue solite amicizie». Fra gli «episodi di violenza», a giugno scorso, il litigio, col particolare dell’occhio nero di lei, svelato ieri da La Sicilia. La prova? In una chat di WhatsApp, acquisita dai carabinieri.

I social sono centrali anche nel racconto di un altro giovane, legato a Roberta da un’amicizia più particolare. Mostra gli ultimi sms scambiati con la vittima. All’1,06 (pochi minuti dopo che la coppia avrebbe lasciato la festa, secondo i testimoni) Roberta gli scrive «devo staccare» e un minuto un enigmatico «vediamo come va a finire con quello»; all’1,09 «torno fra mezz’ora, non più tardi». All’1,30 lei in un altro messaggio, agli atti del fascicolo, conferma che Pietro vuole appartarsi con lei. L’amico le scrive, alle 2,30 e poi le invia un audio, «dicendole di chiamarmi per qualsiasi cosa». Nessuna risposta. «Non ho dormito tutta la notte, con un brutto presentimento», racconta il testimone ai carabinieri.

Sono minuti cruciali per la ricostruzione del giallo. E qui c’entra di nuovo il telefonino di un altro altro ragazzo. Che mostra ai carabinieri la cronologia delle chiamate. In una, alle due circa, parla con Pietro. Il quale gli dice che «stava rientrando a casa e che avrebbero giocato a un videogame». L’amico rammenta di «non sentire altre persone» con Morreale, certo che fosse in auto, «non udendo il solito rimbombo di quando si trovava in casa». Poi, alle 8,10 di domenica, trova sei chiamate senza risposta e un messaggio da Morreale, che gli chiede «se sapessi dove fosse Roberta». Circostanza «particolarmente significativa» per l’accusa, visto che «l’indagato era perfettamente a conoscenza di cosa era successo».

Ma l’indizio-macigno è nelle telecamere di sorveglianza di una villetta in contrada San Rocco, nei pressi del luogo dove sarà trovato il corpo, in parte bruciato, di Roberta. Nel video si vede la Fiat Punto di Morreale arrivare alle 2,37 e «tornare indietro» alle 2,43. Poi un altro “viaggio” verso il belvedere: 12 minuti, dalle 3,28, alle 3,40. Pietro ai carabinieri non fa cenno di questa circostanza, che i pm ritengono «non compatibile» con la sua versione. Lui, invece, dice a tutti (pure ai familiari della vittima che di mattina la cercano) di «aver lasciato Roberta davanti al portone di casa alle 2,15», giurando che «non avevamo litigato».

Ma a quell’ora, per la Procura, la ragazza è già morta. E non perché, come sostiene il fidanzato, «s’è data fuoco». Lungo la parete del dirupo viene trovato solo «un brandello di tessuto di tipo jeans» e nient’altro «che possa far pensare a un evento incendiario avvenuto in quel posto». E poi la prima relazione del medico legale. Sul cadavere «segni riconducibili a una combustione», ma anche «ulteriori elementi» da approfondire. Fra cui «il volto tumefatto, specie nella regione orbitale laterale sinistra» e «la lingua protesa dalle rime labiali», che «non appaiono riconducibili a una morte per combustione». E che forse raccontano un assassinio. Roberta strangolata, dopo l’ennesimo litigio, da chi poi prova a liberarsi della prova più ingombrante: il corpo.

Pezzi, combacianti, del puzzle che incastra Pietro. Già sbugiardato dalle testimonianze – reali e virtuali – degli amici.

Twitter: @MarioBarresi

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