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Definì il boss un «pezzo di m…», giornalista trapanese condannato per diffamazione

Di Redazione |

PALERMO – Costituisce diffamazione chiamare un boss mafioso «pezzo di merda». Il principio è stato stabilito dalla corte d’appello di Palermo, sezione terza, che ha condannato il giornalista trapanese Rino Giacalone a 600 euro di multa e al risarcimento danni nei confronti dei familiari di Mariano Agate, capomafia di Mazara del Vallo e indicato come uomo di Totò Riina.

In occasione della morte del boss per cause naturali, nell’aprile 2013, Giacalone aveva firmato per una testata on line un ritratto di Agate per il quale aveva usato, riadattandola al personaggio, un’espressione di Peppino Impastato: «La mafia è una montagna di merda».

I familiari del boss hanno querelato il giornalista che in primo grado nel 2017 era stato assolto. Ma dopo un ricorso «per saltum» del pubblico ministero Franco Belvisi, la Cassazione aveva annullato la sentenza e disposto un nuovo processo che ora si è concluso con la condanna di Giacalone. Oltre alla multa, il cronista dovrà versare un risarcimento di 500 euro a ciascun familiare del boss e pagare le spese processuali.

Il difensore del giornalista, Domenico Grassa, ha annunciato che impugnerà la sentenza davanti alla Cassazione e alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La difesa ha sempre sostenuto «l’assoluta irrilevanza penale» del testo di Giacalone.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA