Covid-19
Carico di mascherine e camici dalla Cina in Sicilia, Musumeci: «E’ soltanto il primo»
Catania – Arrivano i nostri. Nel senso di dispositivi sanitari. Presi in Cina dalla Regione e fra breve a disposizione – soprattutto, ma non soltanto – di ospedali e operatori siciliani. Il cargo, un Boeing 777 affittato appositamente per lo scopo, è partito ieri da Shanghai con destinazione Sicilia. Dopo uno scalo tecnico in Etiopia (ieri sera all’aeroporto di Addis Abeba), era atteso oggi all’alba a Punta Raisi. Dove è arrivato con un carico di oltre 40 tonnellate di dispositivi sanitari da utilizzare nell’emergenza coronavirus. All’esterno degli enormi colli la dicitura “Protezione civile Sicilia”. Dentro: milioni di mascherine (soprattutto chirurgiche, ma anche Ffp2 e Ffp3), occhiali protettivi, camici, copricapo, grembiuli e cuffie.
È il primo risultato concreto del metodo “fai-da-te” del governo regionale, che negli scorsi giorni aveva denunciato i ritardi nella consegna e le scarse quantità di quanto arrivato da Roma. «Negare che ci sia un ritardo sui dispositivi di protezione vuol dire negare che a mezzogiorno ci sia luce o che a mezzanotte sia buio. Lo ha riconosciuto anche Borrelli. Si era detto che l’unità di crisi nazionale avrebbe provveduto a trasferire in periferia camici e ventilatori. Abbiamo atteso fino a quando arrivassero e sono arrivati con il contagocce», diceva Nello Musumeci in tv fino a giovedì mattina. Rivelando: «Quindi ci siamo attrezzati a cercare i ventilatori noi sul mercato con risultati che sono stati assai deludenti dopo esserci rivolti ad una cinquantina di aziende. Attendiamo risposte anche dall’estero». E queste risposte sono arrivate. Dalla Cina con furore. Grazie a una silenziosa azione diplomatica sull’asse Palermo-Pittsburgh-Shangai. È stato infatti l’Ismett a fare da ambasciatore siciliano in Cina, trattando con gli esportatori l’acquisto del materiale, in un momento in cui la domanda globalizzata è alle stelle. Sono riuisciti a convincere i fornitori (ma soprattutto il governo cinese) alle forniture per la Sicilia. Costretta, nel frattempo, ad «andare in guerra con le fionde».
«Il ponte aereo con la Cina sarà continuo». Quella in arrivo oggi, infatti, non sarà la prima consegna di materiale per l’Isola, ma sarebbe «pari al 20 per cento della commessa complessiva», filtra da Palazzo d’Orléans. Sono attesi, a breve scadenza, almeno altri due carichi, uno dei quali via mare. Con a bordo non soltanto altri dispositivi di protezione, ma anche attrezzature (compresi i ventilatori polmonari per le terapie intensive e sub-intensive) per i Covid-Hospital siciliani.
«Ma non è una rivolta contro il governo»: questa la linea che emerge nelle ultime ore dal governo regionale. L’idea di esplorare la Via della Seta è stata voluta da Musumeci all’insegna del motto «curarsi in salute». La strategia di farsi affiancare dall’Ismett e la successiva missione commerciale in Cina sono partite prima delle denunce sui ritardi di Roma. E l’arrivo dell’aereo di Shanghai a Palermo giunge in contemporanea a quello che dall’assessorato alla Salute definiscono «un discreto recupero nelle consegne dei dispositivi dalla Protezione civile nazionale, che sta cominciando a far arrivare parte dei materiali chiesti dalla Sicilia». Colmando una situazione drammatica: lo “zero” più inquietante, nelle consegne, riguardava i ventilatori polmonari, sui 416 chiesti per le terapie intensive e sui 400 per le sub-intensive. E poi le mascherine: la Regione ne ha chieste oltre 5 milioni dei modelli Ffp2 e Ffo3 e 13 milioni di quelle chirurgiche. Da Roma ne erano arrivate 410mila “tipo monrasio” (non destinate al personale sanitario), definite «panni per pulire» da Musumeci. E infine i tamponi: richiesti 500mila.
L’approvvigionamento di materiali dalla Cina «non è in contraddizione, ma in piena sinergia» con le altre scelte recenti. Tutte legate a una produzione “autarchica” di dispositivi made in Sicily. Come quella del Distretto Meccatronica (che raggruppa 110 aziende isolane dei settori della meccanica, dell’automatica, dell’elettronica e dell’informatica, con 2.500 addetti e un fatturato complessivo di oltre 300 milioni l’anno), che sta per consegnare la prima fornitura annunciata: le prime 10mila mascherine, i primi 1.000 schermi protettivi 3D per i chirurghi e più di 25mila chili di gel igienizzante per gli ospedali siciliani. E poi le iniziative delle singole aziende. Come la catanese Parmon Spa, che domani lancerà la prima produzione, con una capacità iniziale di 300.000 mascherine al giorno, riconvertendo una linea di salvaslip. Una necessità collettiva, ma anche un buon affare.
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