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Catania, Bianco ora contrattacca: «Il dissesto poteva essere evitato»

Di Cesare La Marca |

CATANIA – «Provo profondo rammarico e dolore per la mia città, perché la dichiarazione di dissesto è una delle cose peggiori che possono capitare. E infatti, negli anni scorsi pur potendolo dichiarare io stesso, ho evitato in tutti i modi questa pesante prospettiva, mantenendo i servizi migliori possibili: mai nessun giorno di ritardo nel pagamento degli stipendi, il salvataggio della Multiservizi e il mantenimento degli asili nido che erano destinati a chiudere secondo il piano dei miei predecessori». 

L’ex sindaco Enzo Bianco sente tutta la drammaticità del momento, ma rileva anche che a suo avviso la vicenda poteva avere una diversa evoluzione. «Qualcuno mi ha criticato perché ho detto che questa situazione si poteva evitare. Se l’interpretazione che si sta dando rispetto all’ineluttabilità del dissesto a seguito delle decisioni della Corte dei conti non lascia spazio ad altre soluzioni, io mi permetto di dire che non è così: il ministero dell’Interno, infatti, in una lettera inviata al Comune poche settimane fa, dice in modo esplicito che nel decreto Milleproroghe – in cui si trova il famoso emendamento che lo stesso sindaco Pogliese, altri autorevoli esponenti del centrodestra, e io stesso, avevamo salutato con soddisfazione – “la norma richiamata circoscrive l’ambito di applicazione soggettivo agli enti che alla data del 30 novembre abbiano riformulato o rimodulato il piano, senza porre alcuna condizione ostativa per gli enti relativamente ai quali sia stata emessa una pronuncia della magistratura contabile”. È proprio la fattispecie di Catania: ciò vuol dire che avvalendosi di questa norma si poteva formulare un nuovo piano. Oggi i tempi non ci sono più, ma l’Amministrazione ha ritenuto, legittimamente, di non provare a evitare il dissesto con la riformulazione di un nuovo piano di riequilibrio».

A lei viene contestato dall’attuale Amministrazione di aver lasciato una situazione irrecuperabile. ««Per quanto riguarda la condizione di dissesto, vorrei ricordare che il pre-dissesto non l’ha dichiarato la mia Amministrazione, ma è stato predisposto e dichiarato dall’Amministrazione Stancanelli con assessore al Bilancio l’attuale assessore, Bonaccorsi, nel 2012 e approvato dal Consiglio comunale nel febbraio del 2013».

La critica nei suoi confronti è di avere aggravato le cose. «Noi non abbiamo trovato i conti in ordine. Ricordo con orgoglio che nel 1999 lasciai il Comune con un avanzo di oltre 3,8 mln, e un fondo di cassa attivo di 38 milioni di euro, ma il 17 giugno del 2013, quando ritorno a fare il sindaco, trovo un saldo negativo per anticipazioni di tesoreria di 123 milioni e nell’ultimo consuntivo un deficit di quasi 140 milioni. Ho lasciato una città tra le migliori d’Italia e con i conti in attivo e dopo 13 anni di amministrazioni di Centrodestra ho trovato un disastro finanziario: questo è il dato che ho ereditato. Inoltre la stessa Corte dei conti dice in modo esplicito che in quel piano “con riferimento al disavanzo si accertava che sulla base dei dati del rendiconto 2013, lo stesso si incrementava di 143 milioni”; si tratta di passività non rilevate dall’Amministrazione Stancanelli. Per non parlare delle decine di milioni di debiti da contenzioso non considerati. Questi debiti sono stati clamorosamente sottostimati in appena 8 milioni, e sono tutt’oggi difficilmente quantificabili: questo è il vulnus vero, che non tiene conto di debiti nati quasi interamente nell’Amministrazione Scapagnini, a partire dai bilanci 2003 e 2004. Questo non lo dico io, ma, in più occasioni, la Corte dei conti siciliana e la sezione nazionale nel ricorso che ha rigettato».

Anche alla sua Amministrazione la Corte dei conti muove pesanti rilievi per gli anni dal 2014 al 2016, inoltre lei consegna a Pogliese un saldo negativo per anticipazioni di tesoreria di 184 milioni.««Sì, la Corte dei xonti ha rilevato alcune criticità, ma ha anche riconosciuto che complessivamente la nostra azione ha ottenuto dei risultati migliori rispetto a quelli immaginati. Solo nel 2014, il primo anno di nostra amministrazione, abbiamo migliorato l’obiettivo previsto nel Piano di 19,6 milioni di euro».

Perché allora la valanga di questo deficit è cresciuta fino a diventare incontrollabile? «Un fattore fondamentale è stato il cambio dei rilievi contabili, perché nel 2015 entra in funzione una riforma della contabilità pubblica degli enti locali che porta a classificare in modo negativo la condizione preesistente. Non si tratta di nuovi debiti ma di diversi criteri contabili. Io ho ridotto del 33% le spese del personale, con risparmi per 18 milioni; lo stesso anche per Amt, Multiservizi e Istituto Bellini, con risparmi tramite i contratti di servizio ognuno tra 1,5 e 2 milioni; i fitti passivi che abbiamo ridotto da 6,3 milioni del 2013 a 2,2 nel 2017. Tutto ciò ci ha consentito di evitare il dissesto per i debiti fuori bilancio non registrati già nel 2014 o 2015. Anche i costi della politica sono stati ridotti di oltre il 40%».

Perché il Bilancio veniva trasmesso al Consiglio in extremis, con tutte le difficoltà per recepirlo da parte dell’Aula?«Nessuno nega una condizione di difficoltà. Il termine per il bilancio preventivo per i comuni è fissato entro il 31 gennaio, mentre il Parlamento vara la legge di bilancio prima di Natale, dunque noi non abbiamo certezza dei trasferimenti di Stato e Regione. Questo riguarda tutti i comuni e per questo vengono chieste le proroghe. Ricordo anche che grazie al DL 35 abbiamo pagato con un mutuo a tasso ultra agevolato del 2,5%, debiti per ben 192 milioni. Si tratta di 500 aziende creditrici delle quali l’80% sono catanesi, che rischiavano di fallire in massa. Continuerò a dare una mano alla città in modo concreto. Catania ha un mutuo contratto dall’Amministrazione Stancanelli ad oltre il 5,5% per ripianare i debiti, ma oggi dobbiamo riportarlo ai tassi correnti con significativi risparmi. Questa è una battaglia che come presidente del Consiglio nazionale dell’Anci farò con la Cassa Depositi e prestiti, anche per tante altre città».  

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