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«Ho deciso di dire tutto, vado oltre» Montante, l’ultimo interrogatorio

Di Mario Barresi - Nostro inviato |

Caltanissetta – «Ho fatto un percorso religioso». A un certo punto, in una sala del “Malaspina” di Caltanissetta, l’ex uomo più potente di Sicilia gioca la carta a sorpresa: «In questi mesi in carcere ho fatto un percorso difficile… ho dovuto, diciamo, adattarmi, e questo mi ha portato a fare dei ragionamenti. Io, indipendentemente da quello che scrivono i giornali, sono stato sempre dalla parte dello Stato, quindi dalla parte del vostro mondo».

È il 9 agosto. Antonello Montante chiede di essere sentito per la seconda volta dai magistrati titolari dell’inchiesta che l’ha portato all’arresto a maggio scorso. Poco prima di mezzogiorno, fa molto caldo. L’interrogatorio s’interrompe dopo pochi minuti, perché nella stanza arriva un ventilatore. Che soffia lieve sulle buone intenzioni dell’indagato per corruzione: «Sono disponibile a qualsiasi tipo di domande, tenterò di dire tutto quello che so, anche oltre».

Questo è soltanto l’inizio. Ma dopo più di otto ore di confronto – anticipiamo il finale – il procuratore Amedeo Bertone, l’aggiunto Gabriele Paci e il sostituto Stefano Luciani resteranno delusi. È soprattutto un’autodifesa quella che Montante mette in scena. Con pochissime ammissioni, molti «non ricordo» e qualche messaggio lanciato ad amici e nemici. In attesa dell’udienza preliminare, venerdì prossimo.

In mezzo, però, anche alcune ricostruzioni sulle dinamiche politiche degli ultimi anni, elementi utili anche per il secondo filone (ancora in fase di indagini preliminari) sul finanziamento illecito ai partiti.

Montante non parla di soldi, anche perché significherebbe auto-accusarsi, ma di molte dinamiche politiche. A partire dalla scelta di candidare Rosario Crocetta alla presidenza della Regione, nel 2012. C’era chi «lo reputava vincente», racconta riferendosi soprattutto al fatto che «piaceva soprattutto al mondo della legalità». Ma d’altro canto c’era chi lo riteneva «pazzo, ingestibile». E Montante rivendica il suo ruolo nello sdoganamento dell’ex sindaco di Gela. Citando, fra gli altri, due interlocutori nazionali: l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani (ricordando una telefonata in cui «mi disse “guarda la legalità è un tema importante, candidiamo Crocetta») e l’ex leader della Cisl, Raffaele Bonanni, incontrato con Emma Marcegaglia (ex presidente di Confindustria) a Fiuggi e poi in un appuntamento riservato a Roma. «Quindi, a un certo punto si convinsero di candidare Crocetta».

Quando i magistrati entrano sul terreno dell’influenza di Sicindustria sulle scelte alla Regione, Montante alterna istrionici dribbling a ricordi di una precisione impressionante. Sulla nomina di Linda Vancheri, ad esempio, rivela che «vengono a casa mia Crocetta e Lumia, ci mettiamo nella sala dove ci sono le biciclette». Una frecciata a Marzia Giustolisi, capo della Mobile nissena, che assiste all’interrogatorio: «La dottoressa la conosce bene casa mia…». Tutt’altro che un doppio senso, qui è chiara la rabbia contro la dirigente di polizia in prima linea in indagini che hanno più volte scavato – con microspie, telecamere e perquisizioni – dentro la villa di Serradifalco.

Con il senatore e il governatore c’era da superare un ostacolo: Marco Venturi, che «voleva continuare a fare lui l’assessore». Ma i due interlocutori, uno in particolare, sono chiari: «Scordati, perché non lo possiamo mettere a Venturi», è la frase riportata da Montante. Che risponde loro: «Fatemi riservare, vado a Palermo, convochiamo un direttivo». Mollato Venturi, che – rivelerà poco dopo Montante – si sarebbe messo in testa «di fare il sindaco di Caltanissetta, aveva la campagna elettorale pronta», c’è il via libera alla funzionaria che, annotano i pm, poco prima era stata assunta a tempo indeterminato in Confindustria. Nonostante, per il suo bene, il dante causa non fosse molto convinto: «Io sono molto vicino a Linda naturalmente, sotto… sotto vari punti di vista», dice ai pm ai quali consegna – nel suo codice – un’altra referenza sull’assessora: «Collaborava con la moglie di Piero Grasso a progetti sulla legalità». È un meccanismo molto utilizzato da Montante: appiccicare a ognuno dei suoi compagni di sventura un “santino” antimafia. Lo fa pure con l’altra assessora, Mariella Lo Bello: «La prima volta l’ho conosciuta quando abbiamo fatto con la dottoressa Sava, era diventato procuratore Lari, un convegno a Serradifalco contro la mafia».

Poi si arriva a un altro assessore di Crocetta: il magistrato Nicolò Marino. «Lumia suggerisce a Crocetta: “Marino devi farlo assessore”…. E naturalmente io suggerisco a Crocetta… chiede a noi Crocetta, me lo chiede insistentemente…». Montante dice che la prima chiamata la riceve lui da Marino: «Ci davamo del tu, fino all’ultima volta quando ci siamo visti a Catania…». E poi una divagazione sul tema: «Quindi… ma con quasi… con tutti, a parte voi, con tutti del tu ci davamo in Procura, ma no… non lo chiedevo io, me lo chiedevano loro». Ma l’assessore ai Rifiuti entra in rotta di collisione con Giuseppe Catanzaro, delfino di Montante e proprietario di discariche. «Un mio caro amico», lo definisce Montante. Prima di raccontare ai pm: «Catanzaro diceva che Marino aveva una Ferrari, voleva vedere se si trovava la targa, per me una banalità…».

Catanzaro, attualmente presidente di Sicindustria autosospeso dopo l’avviso di garanzia nell’inchiesta su Montante, entra anche in un altro passaggio delicato. Una delle poche vere rivelazioni di tutto l’interrogatorio-fiume. Quella sulla “talpa” a Palazzo San Macuto. Dopo aver balbettato e tentato di sviare la domanda, alla fine l’interrogato ammette: fu Catanzaro, in forza di «un rapporto fiduciario», a consegnare ad Angelo Attaguile («Quello anziano, avrà settant’anni, della Lega, di Catania») membro della commissione antimafia, «un opuscoletto» su Marco Venturi, perché facesse delle «domande per mettere difficoltà» l’ex sodale (ora nemico) nella sua audizione.

Non è un modo per scaricare Catanzaro, ma una presa di distanza. La stessa che Montante traccia dal suo “spione” di fiducia: Diego Di Simone, ex poliziotto diventato poi capo della security confidustriale, grazie anche alle amicizie nel mondo della legalità. «Non ho mai sollecitato controlli illegali a Di Simone e non immaginavo che quei fogli che mi portava, tratti dal sistema informatico delle forze dell’ordine, fossero materiale riservato».Montante prova a ritagliarsi un ruolo di controllore esterno, ben diverso da quello di capo dell’associazione a delinquere che gli attribuisce la Procura di Caltanissetta.

E, in questo sgusciare dalle responsabilità, attribuisce ad altri la nomina di Maria Rosaria Battiato (moglie del colonnello Giuseppe D’Agata, ex capo Dia di Palermo e alto funzionario dell’Aisi, fra gli indagati) al vertice dell’Ias di Siracusa. Lei è «amica mia, amica di Lo Bello, lei… eravamo tutti, diciamo, in buon rapporto, quindi un clima positivo». E poi D’Agata, amico di Crocetta, in rapporti con Crocetta, si propongono in questa situazione: «“Sì, no, va bene la moglie, va bene la moglie”». Ma poi ci vuole un momento conviviale per sbloccare la cosa: «Lumia mi invita a una cena, a Palermo». E non è un tête-à-tête. Chi c’era? «Lumia, la… la Battiato… e chi c’era? Io e questo direttore che doveva dare… doveva dare l’ok. Quindi, praticamente, Lumia mi dice, mi chiede se… se per me poteva andare bene come privati, etc., etc. “Guarda, l’unica cosa che posso fare, sento a Lo Bello, perché non conosco il mondo… il mondo di Siracusa, non conosco assolutamente questo mondo”. Già loro avevano deciso tutto, tra Lumia e quelle persone, quindi io incontro su questa vicenda già cosa è deciso politicamente, l’aveva deciso Lumia con questa persona, che è amico di Lumia, quindi il capo di… il capo della Battiato è amico intimo di Lumia».

Alla fine la nomina si fa. E questa è la (significativa) sintesi di Montante: «Niente, dovevo fare… e infatti io ho detto: “Parliamo con Lo Bello” e poi so che ci sono stati altri incontri, però già loro politicamente la partita se l’è giocata Crocetta e il comandante dei carabinieri, come si chiama… D’Agata; loro se la sono chiusi. Lumia per mettere cornice, fanno politica loro, naturalmente mettono i cappelli, cappellini… Mi hanno chiamato in questa… e mi sono trovato in un incontro che non conosco chi era questo direttore dell’Inps, che era il capo che doveva dare l’ok, il nulla osta a questa cosa».

Così funzionava l’antimafia degli affari. Da cui tutti – solo oggi – prendono le distanze. Compresi i protagonisti. E i beneficiari.

Twitter: @MarioBarresi

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