«Qui è tutto bloccato, la città è circondata. Ci sono check point in entrata e in uscita. E se qualcuno prova a scappare, gli sparano». Giovanni Bruno ha la voce calma, nonostante l’incubo in cui è piombato. A Kherson, località strategica a nord della Crimea, tra le prime a essere occupate dai soldati russi, era arrivato il 20 febbraio, solo quattro giorni prima dell’inizio dell’invasione. E non ci sarebbe dovuto rimanere. Lui che è un marittimo, siciliano di Pozzallo, in Ucraina aveva accompagnato la moglie Irina e la figlioletta di 22 mesi in una visita ai suoceri, in attesa della chiamata per una nuova missione. E invece oggi è ancora lì, prigioniero dell’esercito di Mosca, che ha preso il controllo della città, come tutti i residenti – quasi 300mila – che non sono riusciti a fuggire quando ancora era possibile.
«La situazione è molto difficile. Restiamo quasi sempre chiusi in casa. Usciamo solo per cercare di procurarci i beni di prima necessità. Ma ormai non si trova quasi più niente, mancano cibo e medicine», racconta Bruno al telefono all’ANSA dalla sua casa in un condominio in periferia. E sua moglie, che soffre di problemi alla tiroide, racconta che di farmaci avrebbe urgenza. "Ho bisogno di ormoni, e qui non si trovano più. Sto finendo le scorte», dice preoccupata.
«I soldati vanno in giro per le strade a pattugliare, anche con macchine civili. Noi qui non li abbiamo visti, perché restano per lo più al centro. Ma la città è completamente bloccata dall’esercito», spiega ancora il 35enne siciliano. "Neanch’io li ho visti – gli fa eco Irina – ma in questi giorno non mi sono mai allontanata da casa per più di 500 metri. Esco solo quando non posso farne a meno».
Per le strade di Kherson, nonostante i timori della repressione militare, nel fine settimana i residenti hanno sfidato «gli occupanti fascisti», come urlavano durante il loro corteo pacifico, prima di essere dispersi con spari in aria. Una resistenza civica emersa anche in altri centri sotto il controllo di Mosca, come Melitopol, lungo una fascia di territorio che è diventata il primo obiettivo russo, mettendo in trappola centinaia di migliaia di persone.
In Ucraina, ha spiegato l’ambasciatore Pier Francesco Zazo, restano al momento circa 400 italiani: molti per scelta, ma almeno 34 «intrappolati». Tra Kherson e Nova Kachovka, 70 km più a est, risultano al momento bloccate una quarantina di persone, tra italiani e familiari ucraini. «Ci scambiamo informazioni con un gruppo WhatsApp, siamo in 37. Siamo in contatto con la Farnesina, sappiamo che stanno facendo tutto il possibile, ma per ora purtroppo non ci sono possibilità di evacuazione. Speriamo che ci possa essere al più presto l’apertura di un corridoio umanitario. Noi – spiega Bruno – siamo pronti ad andarcene, appena ce ne sarà l’occasione». Intanto, a Kharkiv torna a fare buio. La città strozzata si prepara a un’altra notte in trappola. Con paura, ma senza perdere la speranza, assicura Giovanni, mentre in sottofondo il richiamo «Papà" arriva a distrarlo. «Aspettiamo».