WASHINGTON – Donald Trump ammette la sconfitta pur senza nominare Joe Biden e annuncia che, a differenza del suo vice Mike Pence, diserterà la cerimonia di giuramento del 20 gennaio, diventando il quarto presidente nella storia Usa a non partecipare all’insediamento del suo successore: dopo John Adams, John Quincy Adams e Andrew Johnson, che si rifiutò di viaggiare nella stessa carrozza del presidente eletto Ulysses Grant.
Questo nonostante abbia assicurato «una transizione dei poteri tranquilla e ordinata» lanciando un messaggio di riconciliazione: «è l’ora di raffreddare gli animi e di ripristinare la calma. Bisogna tornare alla normalità dell’ America», ha chiesto in un video, prendendo le distanze dai suoi sostenitori che hanno assaltato il Congresso, mentre la first lady Melania continuava imperterrita a curare un servizio fotografico su tappetti e oggetti della Casa Bianca: «voi non rappresentate il nostro Paese e chi ha infranto la legge pagherà». Sembra però un messaggio dettato, più che da un sincero ravvedimento, dal disperato tentativo di evitare una umiliante rimozione a meno di due settimane dalla fine del suo mandato. Rimozione su cui Joe Biden frena nel timore di ulteriori divisioni in un Paese che vuole pacificare e riunificare al più presto. Ma, incalzata dai deputati del suo partito, la speaker della Camera Nancy Pelosi ha annunciato che se il presidente non si dimetterà immediatamente la «House» procederà con un impeachment lampo, con un voto atteso per metà della prossima settimana. L’ipotesi è di istigazione alla sedizione. Citando il precedente di Richard Nixon nel Watergate, la Pelosi ha chiesto ai repubblicani di convincere il presidente a lasciare per evitare l’ignominia di un altro impeachment. La speaker della Camera ha parlato anche con il capo dello Stato maggiore congiunto Mark Milley per discutere le precauzioni disponibili “per impedire a un presidente instabile di avviare ostilità militari o di accedere ai codici di lancio e di ordinare un attacco nucleare».
La Pelosi ha detto che all’impeachment preferirebbe le dimissioni o il 25/emendamento, ma il vicepresidente Mike Pence (che sembra contrario) finora non si è fatto sentire. L’eventuale messa in stato di accusa potrebbe essere un’abile mossa politica per costringere i repubblicani a prendere posizione ed eventualmente dividersi ma, a causa dei tempi stretti, rischia di avere solo una valenza simbolica. Senza contare che il Senato, dove si celebra il processo e dove sono necessari i due terzi dei voti per la condanna, resterà a maggioranza repubblicana almeno sino a fine mese, quando giureranno i due nuovi senatori dem che hanno vinto in Georgia. Il suo leader Mitch McConnell, pur avendo condannato il comportamento di Trump, non ha ancora fatto sapere se riconvocherebbe il Senato nel caso la Camera approvasse gli articoli dell’impeachment. Trump comunque rischia anche un’inchiesta federale: «stiamo esaminando il ruolo di tutti gli attori, non solo di quelli che hanno fatto irruzione a Capitol Hill», ha ammonito il procuratore della capitale Michael Shervin.
Anche per questo il presidente è sempre più tentato di concedersi una grazia preventiva che gli faccia da scudo contro tutte le inchieste federali: una opzione controversa e mai provata prima. Ma The Donald non sembra intenzionato a sparire alla scena politica e ad abbandonare la sua formidabile base elettorale: «i 75 milioni di grandi patrioti americani che hanno votato per me, per l’America first, per renderla di nuovo grande, avranno una voce gigante a lungo in futuro. Non saranno disprezzati o trattati ingiustamente in nessun modo e forma», ha twittato. Qualcuno non esclude che si faccia un partito, dopo che molti repubblicani gli hanno voltato e spalle. Aumentano intanto le dimissioni nel suo governo, l’ultima è la ministra dell’istruzione Betsy DeVos. Ha lasciato anche il capo della polizia di Capitol Hill per le falle nella sicurezza mentre proseguono le indagini sulla morte di un agente, Brian Sicknick, rimasto colpito da un estintore. Molti rivoltosi identificati nei video sui social sono già stati licenziati dalle loro aziende e il manifestante che si era seduto con i piedi sulla scrivania della Pelosi è stato arrestato.