Sull’Amerigo Vespucci, dove per parlare bisogna ‘fischiare’

Di Redazione / 27 Ottobre 2024

(dell’inviato Domenico Palesse) (ANSA) – SINGAPORE, 27 OTT – Le uniformi bianche, in riga una accanto all’altra. Una serie di fischi in un tempo che sembra essere sospeso. Tutto a bordo si ferma, immobile. I rumori lasciano spazio al silenzio. L’unico a cui è concesso ‘parlare’ è il mare, che accarezza lo scafo con le sue onde mentre l’equipaggio rende gli onori alle autorità che salgono o scendono dalla nave. Un momento solenne, senza tempo, che l’Amerigo Vespucci ha la capacità di amplificare, con le sue passerelle in legno, gli ottoni lucenti e la maestosità di alberi e vele. Il “cerimoniale” prevede numero e tipo di suoni diversi in base all’autorità. E così il “quattro alla banda” viene ordinato per gli ufficiali fino al grado di capitano di vascello, mentre i massimi onori (“otto alla banda”) sono riservati alla bandiera nazionale, ai capi di Stato o ai caduti. Una consuetudine, quella dei trilli del fischietto, che una volta serviva per chiamare il numero di marinai che sarebbero dovuti scendere alla banda (vale a dire il corrimano del brandizzo, la scaletta di ingresso alla nave) per illuminare il passaggio con le loro lanterne alle autorità. Il numero delle lanterne era più alto in base al grado, e quindi all’anzianità, dell’autorità che, quindi, avrebbe avuto bisogno di più luce per raggiungere la nave. Quella dei fischi a bordo delle navi militari è una tradizione che affonda le radici nei secoli scorsi quando l’unico modo per poter comunicare era proprio attraverso il suono di un fischietto, capace di vincere il rumore del vento durante la navigazione. Uno strumento a forma di piccola pipa di ferro, con un foro in cima attraverso il quale modulare il tono del fischio. Ogni nocchiere ne ha uno, il suo inseparabile compagno di viaggio che custodisce gelosamente per poi passarlo, magari un giorno, ad un giovane cadetto. Ma per ‘suonare’ il fischietto c’è bisogno di esperienza e di abilità che si maturano negli anni. Un’arte codificata attraverso un vero e proprio spartito sul quale si esercitano i futuri nocchieri, guidati da quello che viene considerato il “direttore d’orchestra”, il nostromo. Sul Vespucci i nocchieri sono 85, di cui cinque donne, e costituiscono circa un terzo dell’equipaggio. Considerati i depositari dell’arte marinaresca, sono loro gli addetti alle operazioni a bordo, tra nodi, cime, vele e ponti. Conoscono ogni angolo della nave, ogni segreto di un veliero come quello della Marina Militare. Ogni operazione a bordo ha un fischio distintivo, un comando da eseguire soltanto ascoltando un suono. “Era l’unico modo in passato per potersi ‘parlare’ senza essere sovrastati dal vento – racconta il nostromo del Vespucci, Luca Zanetti -. Siamo così abituati ad usare i fischietti che siamo in grado di riconoscere un nocchiere semplicemente dal tono del suo fischio”. E c’è qualcuno, a bordo, che sta anche preparando un’opera musicale, esclusivamente per fischietti.

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