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Ora Trump rischia la rimozione dalla Presidenza degli Usa

Di Claudio Salvalaggio |

WASHINGTON Scaricato anche dall’establishment del suo partito, silenziato per la prima volta dai social, condannato a livello mondiale e ora a serio rischio di essere rimosso tra una raffica di dimissioni nel suo governo. E’ l’epilogo della tumultuosa presidenza di Donald Trump dopo che nel comizio di mercoledì ha istigato migliaia di fan ad assaltare il Congresso per bloccare la certificazione della vittoria di Joe Biden, incoronato poi presidente al termine di quello che ha definito «uno dei giorni più bui nella storia della nazione». «L’insurrezione ispirata da Trump è un assalto alla democrazia», ha accusato il presidente eletto senza usare giri di parole. Dopo il caos che ha scioccato l’America e il mondo, The Donald ha promesso una transizione pacifica, pur ribadendo le sue accuse di brogli e avvertendo che questa «è la fine del più grande mandato presidenziale della storia, ma è solo l’inizio della nostra lotta per fare l’America di nuovo grande». Ma le sue rassicurazioni non bastano. Tra i dem, ma anche tra più di un repubblicano, cresce la richiesta di rimuovere il presidente prima del 20 gennaio per fargli pagare il prezzo di quello che in tutto il pianeta è apparso come una sorta di golpe. Oltre trenta parlamentari sono per un secondo impeachment, dopo quello per l’Ucrainagate. I capi di accusa sono già stati scritti dalla deputata Ilham Omar e sono pronti per essere presentati, ha annunciato la giovane star del partito, la pasionaria Alexandria Ocasio-Cortez. Ma per un processo del genere non basterebbero due settimane. Un’alternativa più semplice e veloce, invocata da altri parlamentari, tra cui il leader dei senatori dem Chuck Schumer e la speaker della Camera Nancy Pelosi, è il 25esimo emendamento della costituzione, secondo cui il vicepresidente può prendere i poteri del Commander in chief come facente funzioni nel caso il presidente muoia, si dimetta o abbia una incapacità fisica o psicologica manifesta. L’ultimo sarebbe il caso di Trump. Ma è necessario il consenso del vicepresidente e della maggioranza del governo. Se poi il presidente si oppone alla sua rimozione, la decisione spetta alla Camera (in mano ai dem), che deve approvare la decisione con due terzi dei voti. Camera dove però la maggioranza del partito repubblicano ha sostenuto le richieste di Trump di contestare i voti di alcuni Stati, assecondando le sue accuse di elezioni fraudolente. L’ipotesi è comunque al vaglio di molti nell’amministrazione e in Congresso. «E’ un’emergenza, quell’uomo è pericoloso. Non può restare», ha incalzato la Pelosi. Pare però che Biden sia molto cauto, forse nel timore di esacerbare le tensioni e le divisioni in un Paese che vuole pacificare e riunire come primo obiettivo della sua presidenza. Trump intanto sta comunque pagando le prime conseguenze e si è visto voltare le spalle da alleati come Mike Pence, Mike Pompeo e altri pezzi da novanta di un partito che ora dovrà ricostruirsi. Nell’amministrazione inoltre è attesa un’ondata di dimissioni. Il primo ministro a lasciare è stato quello ai Trasporti, Elaine Chao, moglie del leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell. Se ne sono già andati anche il vice consigliere per la sicurezza nazionale Matt Pottinger, la vice portavoce della Casa Bianca Sarah Matthews, la portavoce della first lady Stephanie Grisham e l’inviato speciale in Irlanda del Nord ed ex capo dello staff Mick Mulvaney. Ci sta pensando il consigliere alla sicurezza nazionale Robert O’Brien e Chris Liddell, assistente del presidente e vice capo dello staff. Il presidente è stato poi imbavagliato dai social, la sua principale piattaforma di comunicazione: il suo account è stato rimosso per 12 ore da Twitter e per 24 da Youtube. Su Facebook e Instagram «a tempo indeterminato e per almeno le prossime due settimane. Nella capitale frattanto si fa il bilancio degli scontri: 4 morti (tutti supporter di Trump), una ventina di feriti, 68 arresti (ma altri sono in corso). E continuano le polemiche sulla sicurezza, per lo scarso numero di agenti, la connivenza di alcuni di loro che si sono scattati selfie con i rivoltosi o hanno aperto varchi al Congresso, il diverso trattamento rispetto ai militanti del movimento Black Lives Matter, denunciato anche da Biden. La sindaca di Washington Muriel Bowser ha scaricato la colpa sul governo ma sarà un’indagine a fare luce sulle responsabilità. A breve potrebbe rotolare qualche testa. Intanto si comincia a costruire una recinzione intorno al Campidoglio, dopo quella alla Casa Bianca: l’immagine di un’America sempre più sotto assedio.

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