C’è una palazzina bifamiliare, proprio all’ingresso del Comune di Santa Venerina, in provincia di Catania, che ha un collegamento con l’esplosione dei cercapersone in Libano. È lì che è cresciuta Cristiana Barsony-Arcidiacono, 49 anni, titolare della società Bac Consulting. L’azienda che, secondo la società taiwanese Gold Apollo, ha prodotto i dispositivi esplosi nelle mani e delle tasche degli esponenti di Hezbollah, uccidendo almeno dodici persone, tra le quali una bambina. Barsony-Arcidiacono, in interviste rilanciate dai media internazionali, ha dichiarato che Bac Consulting era solo una società intermediaria. Che non avrebbe, cioè, costruito i device mettendoci dentro le batterie esplosive telecomandate a distanza, impostate per esplodere tutte alla stessa ora, alla ricezione dello stesso messaggio, parte della battaglia di Israele contro Hezbollah. Il governo israeliano non ha confermato il proprio coinvolgimento ma, in anonimo, lo hanno fatto diversi funzionari parlando con il New York Times.
È diventata una storia di spionaggio internazionale e, al centro, c’è finita lei: Cristiana Arcidiacono all’anagrafe, catanese di nascita; il cognome Barsony, aggiunto con un trattino, è quello della madre, originaria dell’Ungheria, sposata a un giornalista di Santa Venerina. «Non credevo che Cristiana fosse titolare di un’azienda capace di affari di così alto profilo», dice un uomo che la conosce da tutta la vita. Secondo i funzionari sentiti in esclusiva dal Nyt, la società della donna sarebbe stata all’interno di una rete, insieme ad altre due imprese fantoccio, per nascondere il fatto che fossero i servizi segreti israeliani a produrre i cercapersone. Bac avrebbe avuto anche altri clienti, a cui consegnava dispositivi «ordinari». Ma quelli costruiti per Hezbollah sarebbero stati prodotti in modo diverso «e tutt’altro che ordinario», affermano le fonti al quotidiano statunitense. Le spedizioni sarebbero cominciate già nel 2022, ma le quantità sarebbero nettamente aumentate da febbraio in poi. Da quando, cioè, il leader libanese Hassan Nasrallah aveva invitato a interrompere l’uso dei cellulari, ritenuti facilmente utilizzabili come arma da parte dei servizi segreti israeliani. I quali, però, secondo i reporter del Times, pensavano da anni a usare a proprio favore il low-tech. Un’operazione di intelligence che pare sceneggiata. Anche quando finisce per passare attraverso Cristiana Barsony-Arcidiacono. Cresciuta a Santa Venerina, diplomata al liceo Archimede di Acireale, laureata all’università di Catania in Fisica, poi volata verso l’estero. Prima di Budapest, per andare a vivere con l’anziana nonna materna, Londra. E un lungo elenco di progetti di cooperazione internazionale e sostenibilità ambientale anche nel continente africano. Il suo profilo LinkedIn è stato passato al setaccio dalla stampa di tutto il mondo: ha il profilo perfetto per essere descritta come una spia.
L’estate l’ha trascorsa quasi tutta all’ombra dell’Etna. Poche settimane fa è ripartita alla volta della capitale ungherese e lì, in questi giorni, è travolta dagli eventi. «È turbata, ha affidato tutta la questione a degli avvocati, farà dei comunicati stampa», afferma un’amica che la sente, in queste ore. Nessuno accetta di essere citato per nome e cognome. Sua sorella nega perfino la parentela, prima di riattaccare il telefono. «Ha sbagliato persona», dice. Ma non c’è nessun errore.«Una ragazza brillante e riservata», afferma un vecchio compagno di scuola. Che ha frequentato la famiglia di lei fino a pochi anni fa. «L’ultima volta che l’ho vista è stata alla fine di agosto – dice un conoscente – passeggiava col cane. Sapevo di lavori saltuari». Parlando di lei, nessuno ipotizzava potesse rivestire la carica di Ceo di un’azienda di questa caratura internazionale.