Messina
Stretto, ecco la vera partita che il M5S gioca sul Ponte
La clamorosa conversione di Giancarlo Cancelleri sul Ponte rischia di essere il canto del cigno di un decennio di leadership grillina in Sicilia. Eppure, se Giuseppe Conte dovesse attestare la linea del sottosegretario alle Infrastrutture, quello che fra i pentastellati continuano a chiamare (con una buona dose di ipocrisia) «l’attraversamento stabile dello Stretto» potrebbe diventare un altro tabù infranto, ma soprattutto uno degli scalpi politici per dimostrare la nuova linea di un movimento, ora più di governo che di lotta, a caccia di voti moderati.
Martedì sera, per Cancelleri, è stato vero massacro. Un’assemblea di parlamentari cinquestelle sul Ponte è come un convegno dell’Avis in cui si parla di Dracula. Schiacciante e rumorosa la maggioranza che si esprime per il no, senza se e senza ma. L’uscita dell’ex vicepresidente dell’Ars viene bollata come «non opportuna» dal capo politico Vito Crimi, sostenuto dai capigruppo Davide Crippa ed Ettore Licheri, ma in molti sono ancora più espliciti parlando di «un progetto assurdo» (Mauro Coltorti, professore di geomorfologia), di un «clamoroso autogol» (Stefano Buffagni), di comportamento «estremamente scorretto» (Giovanni Vianello). con la catanese Giulia Grillo pronta a «togliere la fiducia» a un governo che farà il Ponte.
Il diretto interessato s’è dovuto scusare «se qualcuno si è sentito offeso dalla mia intervista: quel titolo non mi appartiene, i contenuti certamente sì perché non ho detto nulla che potesse nuocere». La colpa è sempre dei giornalisti, ça va sans dire. Ma per il sottosegretario – sostenuto dagli interventi dei parlamentari siciliani Adriano Varrica, Pino Pisani e Angela Raffa – quello corso potrebbe essere anche un rischio calcolato. Cancelleri, tra l’altro, ottiene alcuni risultati “democristiani” di peso. Il primo è che l’assemblea non si conclude, come ad esempio chiedeva l’ex ministro Danilo Toninelli, con «una presa di distanza» ufficiale da chi «ha creato un grossissimo danno» al M5S. “Gianca”, nel suo discorso, gioca il jolly: «Ho sentito Conte, ci siamo confrontati e siamo arrivati insieme alla conclusione che va istituita una commissione per analizzare la questione dal punto di vista tecnico e politico». Ed è proprio questa, fra le proteste, la decisione finale del conclave grillino sul Ponte. Una scusa per prendere tempo, ma anche un modo per non bruciare il tema nel rogo dei No Ponte. E non è un caso che sia lo stesso Conte, sul Fatto Quotidiano, a fare da camera di compensazione: bisogna «studiare bene le carte» con «una istruttoria tecnica di supporto alla valutazione politica: non ci infiammiamo ideologicamente».
Ora la partita si sposta anche in Sicilia, dove la stragrande maggioranza degli attivisti, sui social, è in rivolta. E dove il gruppo all’Ars reagisce in modo tiepido all’uscita di Cancelleri. Soltanto Francesco Cappello lo sostiene in modo esplicito dal «tentativo maldestro di soffocare legittime istanze provenienti da una regione in cui il consenso» del M5S «ha consentito a questi “accusatori” di sedere sugli scranni del parlamento nazionale». Ma, nell’imbarazzato silenzio degli altri (compresi i messinesi Valentina Zafarana e Antonio De Luca, piuttosto scettici in chat sulla svolta pontista), la proposta di Giovanni Di Caro suona come un’exit strategy per far uscire Cancelleri dal vicolo cieco in cui è finito. «Per un’opera così impattante sarebbe giusto dare la parola a chi con questa infrastruttura avrà più a che fare, i siciliani e i calabresi: facciamo un referendum come fu fatto nel 2016 per le trivelle», dice il capogruppo all’Ars «a nome dei 15 deputati». Un’idea quasi in pendant con l’ultima mossa annunciata dallo stesso sottosegretario: «Nelle prossime settimane avvierò gli Stati Generali delle infrastrutture siciliane: voglio sentire la politica siciliana, le associazioni di categoria, gli imprenditori, i sindaci per mettere a punto una serie di proposte che poi si possono portare al tavolo nell’ambito del progetto per il Sud». La strategia appare chiara: annacquare il dibattito interno al M5S sul Ponte, dove la posizione favorevole è perdente in partenza, facendolo uscire dal sistema binario interno Sì-No e dallo steccato ideologico pentastellato (lo stesso evocato da Conte) per consegnarlo a un dibattito aperto, se non addirittura a un voto popolare dall’esito scontato
E su questa vicenda si gioca anche la futura leadership siciliana, che fra poco non sarà più carismatica e “darwiniana” come quella espressa da Cancelleri dal 2012 in poi, ma codificata nelle nuove regole proposte da Conte col ruolo di capo politico regionale. La classe dirigente grillina – la stessa che ha sfiorato la conquista di Palazzo d’Orléans e festeggiato il “cappotto giallo” alle ultime Politiche – dà qualche segno di logoramento. Al di là dei pessimi risultati alle Amministrative, (mai state una specialità dei 5stelle), s’è dovuto fare i conti con la costante emorragia di deputati (il 25% all’Ars, quasi il 30% a Roma, uno a Bruxelles), fra fuoriusciti ed espulsi, tutti di fatto selezionati, con l’avallo di Luigi Di Maio, dalla gestione cancelleriana. Che è riuscita a dissimulare il calo di consensi interni emerso sul voto online dei “facilitatori” con la doppia prova di forza del leader: nominato viceministro nel Conte bis e confermato sottosegretario nel “governo dei migliori”. Ma ora le ultime due strategie di Cancelleri alzano l’asticella: prima il dialogo sul “campo largo” alle Regionali con caminetti (mai smentiti) anche con Gianfranco Miccichè, poi l’uscita sul Ponte. Se si tratta di avanguardismo di future scelte moderate di Conte, allora il sottosegretario sta giocando un all-in per legittimarsi alla guida del M5S siciliano e magari candidarsi per la terza volta a governatore. Se non fosse così, sarebbe un volo senza paracadute. Con molti rivali, fra cui l’eurodeputato Dino Giarrusso (sempre osteggiato dai portavoce della vecchia guardia, ma più che mai in sintonia con la pancia del movimento), già pronti ad aspettare lo schianto finale.
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