Messina
I Genovese, il “principino” Luigi e il destino di sangue: «È come suo padre»
MESSINA – Da «abbastanza incensurato» a indagato. Forse era scritto nel destino. Un destino di famiglia. Sarà pure saggio che le colpe dei padri non ricadano sui figli, ma se l’eredità – oltre a un pacchetto di 17.359 voti che lo hanno catapultato all’Ars – comprende anche conti correnti, società e immobili oggetto di presunto riciclaggio, allora c’è qualcosa che non va.
Per Luigi Genovese Junior la politica e il potere erano balocchi d’infanzia. Fiero discendente, per linea materna, di un santo, padre Annibale di Franciua, è il rampollo della famiglia più potente di Messina. Il prozio è Nino Gullotti capostipite democristiano, più volte ministro e parlamentare per otto legislature, figura “gattopardesca” e ritenuta più nobile in città, dove lo distinguono per lignaggio dalla «spregiudicatezza da iene» dei Genovese, quella «dinastia, con tre generazioni implicate» di cui parla il gip Salvatore Mastroeni nell’ordinanza. Il padre di Luigi, Francantonio, condannato a 11 anni per lo scandalo della formazione, deputato di Forza Italia. E poi c’è lui, il predestinato. Con la lettera scarlatta dell’impresentabilità cucita addosso per tutta la campagna elettorale delle Regionali. Adesso indagato, insieme con la madre, Chiara Schirò (anch’essa condannata per i “corsi d’oro”, come la sorella Elena e il cognato Franco Rinaldi, deputato regionale uscente), alla sorella Rosalia e al cugino Marco Lampuri.
Lui, dalle accuse e dagli sfottò, s’era difeso come un leoncino di razza. E poi, dopo la valanga di voti e cinque chili persi cercando voti, l’esultanza di Luigi: «L’affetto e la fiducia della gente hanno confermato che la famiglia Genovese è amata, perché a Messina ha fatto solo del bene». E il padre lo protegge in un’intervista ad Antonio Rossitto di Panorama: «Ha 21 anni. Che cosa possono imputargli? Perché dovrebbe essere impresentabile lui se i problemi ce li ha il padre».
Non è più così. Adesso c’è il timbro dell’odiata magistratura. «La circostanza della ricchezza improvvisa di Luigi Genovese, il suo notorio ingresso in politica, il modo spregiudicato di acquisizione della ricchezza, danno la probabilità, sia pur per la visione cautelare di protezione dei beni e dei soldi dovuti allo Stato, che si verifichi la stessa attività del padre», è il ritratto a tempera del gip Mastroeni. Che ci va giù pesante: “Genovesino” non può non sapere. «E così dal nulla si staglia la figura di Genovese Luigi junior, che diventa consapevolmente, firmando atti e partecipando alle manovre del padre, ricchissimo e sono atti organizzati a tavolino, partecipati dagli interessati e forse da altre persone esperte dal ramo, rimasti nell’ombra e forse con la connivenza di banchieri, in cui comunque nessuno dei partecipi, per la presenza e gli effetti, si può dire inconsapevole e chiamare fuori».
Quando a papà Francantonio chiedono una cosa – è la vulgata messinese – lui non risponde mai né sì né no. La massima asserzione? «È condivisibile», il tic-mantra. Come a voler anticipare un’annessione dell’anima, una condivisione che diventa connivenza. «Tante cose non le farei di nuovo. E non coinvolgerei i miei familiari. Ma tutto è stato sempre legittimo», è uno dei pochi sfoghi dopo l’elezione di Luigi. Le sue doti? «Sangue freddo, pazienza, analisi e sintesi», per il fiero padre di quel «bravo ragazzo» che Gianfranco Micciché – “caronte” (e qui lo Stretto non c’entra) del traghettamento dal Pd a Forza Italia – difende a spada tratta. Anche il neo-deputato regionale, in perfetto stile genovesiano, si auto-assolve, «certo di dimostrare la linearità e la regolarità della condotta mia e dei miei congiunti, nella gestione dei beni di famiglia». E poi, da manuale forzista, il tema della giustizia a orologeria: «Anche se la tempistica di questo provvedimento può apparire sospetta, voglio credere che non vi sia alcuna connessione con la mia recente elezione». Perciò non consentirò nessuna eventuale strumentalizzazione in chiave politica. Ringrazio le centinaia di persone che già in queste ore mi hanno manifestato grande solidarietà e affetto».
Le stesse che l’hanno incoronato, a 21 anni, come principino di Palazzo dei Normanni. Ambizioso? «Parecchio», confessa. Ammettendo il peso del suo cognome. «Importa, certo che importa. E io ne vado fiero. Soprattutto per quello che mi hanno trasmesso i miei». Luigi giura che «il nostro è un servizio al territorio». Anche perché «nessuno di noi s’è mai candidato per rincorrere una poltrona». Del resto, «potremmo fare altro», poiché «abbiamo un’impresa che ci permetterebbe guadagni molto maggiori». Quei cento milioni del maxi-sequestro di beni. Il battesimo del fuoco, per il baby-Genovese. Candidato, eletto, quasi insediato. E già indagato. È diventato grande, ormai, Luigino.
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