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Giusy e Antonella, due sorelle laureate “a pesca” di un lavoro nello Stretto

Di Maria Ausilia Boemi |

Un’impresa nella quale non pensavano minimamente di imbarcarsi: “Io – racconta Giusy – da piccola pensavo di insegnare, poi di lavorare con i turisti, quindi in parte c’è un’attinenza col pesca turismo». «Io avevo studiato Scienze politiche – spiega invece Antonella – e mi piacevano le pubbliche relazioni e il controllo amministrativo delle aziende». Il destino, però, le ha messe di fronte a una situazione che, per le nipoti, non era accettabile: dismettere l’impresa del nonno. «Ci è venuta questa idea – racconta Giusy – perché non volevamo assolutamente che la nostra famiglia vendesse le barche e la licenza di pesca».

L’idea è accolta inizialmente con scetticismo: «Secondo me non ci hanno creduto – continua Giusy -, hanno pensato che ci saremmo stancate presto. Dopo che abbiamo superato tutti gli esami, hanno cominciato a portarci a pesca di notte e d’inverno, quindi facendoci alzare alle 3 con un freddo terribile. Hanno però poi visto che non demordevamo e ci hanno cominciato a prendere sul serio». «Di fronte alla prospettiva di vendere, tutti i nipoti ci siamo un po’ irrigiditi, perché ci sembrava come toglierci una parte della nostra vita. Le uniche che potevamo rilevare l’impresa eravamo però le femmine: ci siamo proposte con una certa intensità e ci hanno messe alla prova».

Nessuna difficoltà di genere con gli altri pescatori, anche se all’inizio c’è stato un certo stupore nel borgo. Alcune mansioni, in realtà, sono risultate un po’ ostiche, inizialmente, soprattutto a Giusy: «Ad esempio, per me è stato difficile imparare a remare. Oggi, in genere sto al timone o al remo. Per il resto no, non abbiamo avuto particolari difficoltà, tranne il freddo. Certo, per le donne c’è una difficoltà in più perché per la pesca serve forza fisica, anche se la tecnologia aiuta su questo fronte. Gli altri pescatori, invece, ci hanno accettato subito. Qualche difficoltà, infine, a livello burocratico: io sono mamma da due mesi e nessuno sapeva indicarmi la procedura per la maternità, perché non era mai accaduto in precedenza». «Ci hanno fatto lavorare nei vari ruoli – spiega Antonella -: da quando mio nonno non viene in barca, in genere io sono al remo e mia sorella è al timone, oppure io butto la rete dalla parte del sughero (dalla parte del piombo c’è mio zio). Ormai ci muoviamo su tutto quello che c’è da fare. Ci vuole molta forza fisica, però tra il supporto della tecnologia e il tenersi sempre in esercizio, si può fare».

Giusy e Antonella effettuano la pesca tradizionale dello Stretto con una rete di circa 500 metri: «Prendiamo pesce azzurro, quindi un mix di pesci locali sostenibili (né troppo piccoli né troppo grandi)». Una pesca sostenibile, quindi, ma che si scontra con «le normative Ue – sottolinea Antonella – che gestiscono la pesca anche per le grandi aziende che hanno un’attività intensiva. Purtroppo non viene considerata la pesca tradizionale italiana che è completamente diversa. L’Europa dovrebbe dare le linee generali, ma la regolamentazione dovrebbe essere a livello regionale». «Siamo – concorda Giusy – molto svantaggiati: abbiamo ad esempio il divieto di pescare tipologie di pesci che qui abbondano mentre in altre zone d’Europa scarseggiano. E poi c’è il problema della quota tonno: di solito si assegna alle grandi imbarcazioni e non alle piccole, che però pescherebbero pochissimi esemplari rispetto alle tonnare. Però, stranamente, la quota tonno è data alle tonnare e non a noi».

Giusy e Antonella non si sono tuttavia accontentate di rilevare l’attività del nonno, ma a questa hanno affiancato il pesca turismo «per sostenere economicamente l’azienda e per portare una novità – spiega Giusy -: abbiamo tantissime prenotazioni e i turisti vengono a pesca con noi, su una delle barche d’appoggio. Organizziamo poi visite al borgo marinaro, alla costa e facciamo show cooking». L’unica differenza è che invece di pescare di notte si parte alle 8 del mattino, orario più consono ai turisti. Un’attività che consente di integrare i guadagni e che, come sottolinea Antonella, «può essere un’ottima soluzione per il mare, perché consente ai pescatori di non farne uno sfruttamento intensivo. Io credo nel discorso pesca turismo, soprattutto se riusciamo a portare avanti il progetto di collaborare con altri per creare casette e punti di ripopolazione del borgo. Noi lo stiamo facendo con la casa del nonno, nella quale stiamo realizzando un b&b per mettere a disposizione dei turisti anche la casa di un pescatore e fare vivere loro l’esperienza al massimo. Ci credo perché potrebbe essere non solo un’altra fonte di guadagno discreto, ma anche il giusto punto di interruzione della pesca intensiva: ti dà un guadagno immediato che permette di compensare il pescato inferiore e ti permette di avere nel tempo più pesce in mare e, quindi, di potere avere un maggiore guadagno domani».

Il ragionamento non fa una grinza. Intanto le due sorelle, che tra le altre attività organizzano anche eventi, conducono una vita intensa: «La sera prima si stabilisce se si va a pesca – così descrive Giusy la propria giornata tipo – perché tutto dipende dal meteo e dalle maree. Se si va a pesca, si stabilisce l’orario, sempre in base alle maree e al pesce di stagione: di solito la più comune è la sveglia verso le 4, alle 5 in barca, si butta la rete verso le 5,30-6 in base sempre alle correnti, verso le 7,30 si è in spiaggia, si levano i pesci e poi si vede se si vuole uscire nuovamente o se si va a casa o se si deve riparare eventualmente la rete». Da lì in poi le altre attività: pesca turismo e organizzazione di eventi. Da neo mamma, Giusy si chiede come potrà conciliare la vita di pescatrice con quella familiare: «In realtà – sottolinea – dovrebbero essere ruoli molto compatibili, nel senso che hai gli orari che scegli tu e perché, se hai un problema con la bambina, non vai e non succede nulla. Lo sforzo in fin dei conti è di un paio di ore, anche se sarà difficile trovare qualcuno che tenga la bambina alle 5 di notte. Dovrò organizzarmi con mio marito (imbarcato peraltro in Marina militare)».

Diverso il rapporto col mare delle due sorelle che, pur avendo intrapreso un’attività così insolita, non hanno alcun rimpianto: «Io non ho mai amato il mare e ne ho anche paura – rivela incredibilmente Giusy -. Non sono la classica bagnante, il mare lo vivo unicamente dalla barca, perché per il resto non mi piace. Mi fa paura, ma solo quando sono in acqua, sulla barca no». Antonella, invece, ama il mare: «Quando il nonno tornava dalla pesca, ero già sulla spiaggia. Per il resto ci avviciniamo come modo di pensare, sia io sia mia sorella, a quello di mio nonno: il rapporto col mare nel momento in cui lo affronti da pescatore cambia decisamente, perché cambia il modo in cui lo vedi. Capisci che può essere pericoloso, capita l’occasione in cui hai un po’ di paura nell’affrontarlo: diventa quindi un rapporto reverenziale, di amore ma con molta attenzione e rispetto». Un rapporto che anche col nonno si è ancora più rinforzato: «Andiamo da lui quasi tutti i giorni – conferma Giusy -, ma al rapporto familiare adesso si è aggiunto quello professionale. Gli chiediamo consigli, dove lui andrebbe a pescare in base alle maree: è come se ancora oggi fosse parte integrante dell’azienda». «Adesso – rimarca Antonella -, quando il nonno parla di pesca ci chiama in campo, perché sa che lo riusciamo a capire».

Consiglio ai giovani? «Di tentare di creare impresa da soli – non ha dubbi Giusy -: buttatevi, perché è l’unica soluzione». «Di seguire le loro aspettative – sottolinea Antonella -, ma soprattutto di non fare perdere ciò che hanno ricevuto dalla famiglia. Se hanno un nonno o un papà che ha una passione, cercare di cogliere negli occhi della persona che hanno vicino quella passione». Le difficoltà, infatti, si superano: perché anche le donne possono fare le pescatrici, anzi qualcuna, sull’esempio delle sorelle Mancuso, si sta attrezzando per farlo. «Certo – rileva Giusy – c’è bisogno dell’aiuto di un uomo se si va con la rete come noi, se invece si va con la lenza o con le nasse si può fare anche da sole». E le soddisfazioni non mancano: come quella raccontata da Antonella: «Alle riunioni dei pescatori siamo le uniche femmine. All’inizio ci guardavano strano, poi un signore mi ha detto: “Lo sa una cosa? Mia figlia studia, ma quando esco a pesca lei vuole venire. Finora non le ho fatto il tesserino perché mi sembrava una cosa assurda. Però le piace, mi ascolta, segue quello che dico. E lo sa che da quando ho visto voi sto pensando di farle il tesserino?”. Per me è stata una soddisfazione grandissima». Che dire? Donne sulla cresta dell’onda crescono…

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