Frode fiscale di società informatica: 5 arresti e sequestro beni per 23 mln di euro

Di redazione / 05 Ottobre 2017

MESSINA – La Guardia di Finanza di Messina ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di cinque indagati, tre sono in carcere e due ai domiciliari, con l’ipotesi di accusa di associazione per delinquere finalizzata all’emissione ed all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e bancarotta fraudolenta.


Il gip ha disposto il sequestro preventivo per oltre 23 milioni di euro, su conti correnti e disponibilità finanziarie riconducibili agli indagati ed alle società coinvolte nella frode. Nell’ambito dell’operazione, sono state denunciate complessivamente nove persone.


L’indagine, è nata da un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta di vendita di prodotti informatici, e ha fatto emergere – dicono gli investigatori – l’esistenza di un’organizzazione finalizzata alla perpetrazione di frodi fiscali, capeggiata da due fratelli imprenditori ed un professionista, finiti in carcere. Altri due imprenditori sono agli arresti domiciliari. Questi ultimi, ricoprivano formalmente la carica di rappresentanti legali di alcune società di comodo (di fatto amministrate dai fratelli), che venivano utilizzate per emettere fatture false a favore di altre società riconducibili all’organizzazione criminale.
Le attività, svolte sotto la direzione della Procura di Messina, hanno consentito di scoprire un sofisticato sistema di frode attuato tramite un giro di fatture false fra diverse società facenti capo agli indagati, operanti nel settore del commercio dei prodotti elettronici (telecamere, macchine fotografiche, cellulari, computer, navigatori satellitari, ecc.), destinati alla grande distribuzione nonché al commercio al dettaglio via web. 

Gli indagati si sono avvalsi di ditte individuali e società cosiddette «cartiere», dislocate nelle province di Messina, Pesaro, Roma, Taranto e Treviso, nonché a Malta, Romania e Slovenia, gran parte delle quali gestite direttamente nel capoluogo peloritano. Il meccanismo fraudolento – dice la Gdf – ha garantito un elevato profitto, rappresentato dall’Iiva non versata all’erario, sia ai promotori della frode che agli amministratori delle cartiere. Nel corso degli accertamenti è emerso che gli arrestati, una volta venuti a conoscenza delle indagini, hanno occultato i beni di alcune società coinvolte nella frode, successivamente dichiarate fallite dal Tribunale di Messina, incorrendo anche nel reato di bancarotta fraudolenta».

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Redazione
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