Lavoro
Vita da rider in Sicilia: «Pochi soldi, molti rischi ma tanta dignità»
CATANIA – È sempre così: deve avvenire una tragedia (e a volte una non basta) per far sì che si riporti l’attenzione sulle mille e uno mancanze del precariato, per poi magari progettarne la risoluzione. E si disquisisce a caldo di papabili e possibili disegni economico-politici che potrebbero debellare, una volta per tutte, il problema. E si riflette su spreed, Inail, previdenza sociale ed ancora potere economico, debito pubblico, partite Iva e pure giusto compenso, lavoro in nero, lavoro in grigio, ccnl, co.co.co… Boh! Sì, boh. Perché finché non si riporterà – ma davvero – la dignità del lavoratore al centro del dibattito, si continuerà ancora, e a malincuore, a raccontare gli ulteriori risvolti negativi delle tragedie sul lavoro, come quella che ha investito l’altra notte il messinese Luciano Galletta, rider per professione, ma “invisibile” per l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
A Catania da alcuni mesi ad occuparsi a tempo pieno dei riders sono i ragazzi del Cpo Colapesce, che hanno organizzato anche un incontro nazionale sul tema e sono accanto ai ragazzi-lavoratori per la difesa dei loro diritti. Oggi a raccontare la sua storia è Angelo Guglielmino, 22 anni di Catania, studente in Scienze Politiche, attivista proprio del Cpo Colapesce e rider, anche lui, per professione.
Angelo, da quando è un rider?
«Da circa otto mesi. Sebbene viaggio in bici e non ho costi di benzina, non guadagno molto. Le salite sono faticose, ma almeno così posso rendermi un po’ indipendente dai miei. Per intenderci, non ho l’umiliazione di chiedere gli spiccioli per comprare il tabacco o intraprendere i viaggi politici. Questo tipo di lavoro, comunque, mi permette flessibilità: quando studio per un esame universitario, mi rendo reperibile solo il weekend, diversamente lavoro cinque giorni su sette. L’impegno varia in base alla fascia oraria e alla casistica: durante la settimana è possibile lavorare per parecchie ore, così come per poche. In questo periodo, ad esempio, ci sono molte fasce libere: ciò mi fa pensare che in tanti si sono licenziati».
Quanto si arriva a guadagnare in una giornata di lavoro?
«In quattro ore posso fare circa 23 euro. Il guadagno varia in base alla città. L’agenzia per cui lavoro applica una quota fissa per consegna: 1,60 su Catania e circa 0,40 centesimi per ogni chilometro percorso. Una consegna da 2 chilometri porterebbe un guadagno di 2,40 a cui va tolto il 20% di tasse. Spesso ci si indebita perché il pagamento con i soldi alla mano porta a prendere dal conto il necessario per lavorare, prima ancora di guadagnare. A conti fatti, non si è quasi mai in pareggio. Molti colleghi, indebitandosi oltremodo, sono stati sconnessi dall’App: ciò significa che ti hanno licenziato».
Della serie, anche i licenziamenti viaggiano online…
«In vero non licenziano perché si apprende dell’interruzione del rapporto di collaborazione solo quando si prova a fare l’accesso al sito e si è “slogati”. Siamo lavoratori “grigi”: figuriamo come liberi professionisti, ma è raro chi ha la partita iva. Non ce la si può permettere».
Apprendendo della morte del giovane messinese, non ha pensato “Potevo essere io”?
«Fosse così, non si uscirebbe più di casa, a prescindere dal lavoro che si svolge. Piuttosto, mi sembra ridicolo che la vita di un rider valga nulla, se non poche migliaia di euro».
Perché non cambia lavoro?
«Ho deciso di studiare e, quindi, è difficile concentrarsi su lavori non occasionali. Per servire ai tavoli, nei pub, i gestori riconoscono a mala pena 30 euro per circa dieci ore di lavoro e maltrattano pure. Almeno, come rider, decido io quando lavorare e nessuno può urlarmi contro».
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Capita di ricevere mance dai clienti?
«Nelle zone più popolari, anche se non possono permettersela, ci trattano alla pari, con dignità. Quando, invece, capitano consegne in zone d’élite come Corso Italia, spesso si comportano da cafoni: guardano con disgusto e disprezzo».
Posso chiederle che lavoro svolgono i suoi genitori?
«Mio padre è un ingegnere, mia madre una dipendente regionale. Appartengo alla media borghesia, ma sono abituato a non fare differenze».
Come si sente a svolgere un lavoro demansionato?
«Non considero chi mi giudica. Tutti i lavori onesti profumano di dignità».
Fin quando pensa di continuare a essere un rider?
«Spero il meno possibile. Dopo il conseguimento della laurea triennale andrò a Padova per conseguire la magistrale in Storia e potere ambire al lavoro che sogno: insegnare. Ho tre passioni: la politica, gli scacchi e la storia. Delle prime due non si campa, quindi prediligo la terza opzione».
Sarà, quindi, un cervello in fuga?
«Ho un rapporto di amore e odio per la mia terra. Se dovessi tornare qui ne sarei comunque felice, ma di certo non sarà per fare il rider. Alcuni miei amici e colleghi mi raccontano che, al nord, chi ti offre un lavoro lo fa con rispetto. Qui a Catania, ma più in generale in Sicilia, se ti danno 30 euro per dieci ore di lavoro sanno anche urlarti contro e dirti che ti hanno salvato la vita… ».
Ma per com’è andata al povero Luciano, la vita proprio no. Quella non te la salva nessuno.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA