Lavoro
Caffè Torrisi, chiude l’azienda: fine della favola catanese
Per 31 lavoratori il destino sembra ormai segnato. L’amministratore dimissionario Lorenzo Torrisi pare non abbia accettato di seguire la liquidazione della società né ha depositato il bilancio 2016, e la sede della società stessa è stata trasferita dallo stabilimento della zona industriale in un’abitazione di proprietà degli eredi Torrisi al centro di Catania, segno inequivocabile che lo stabilimento verrà ceduto a terzi o forse agli stessi eredi (indiscrezioni parlano di una società, la Fratelli Torrisi S.r.l., facente capo al figlio minore Claudio Torrisi, con sede a casa di questi, che sarebbe in procinto di rilevare l’azienda con esclusione dei debiti e dei lavoratori; Claudio Torrisi infatti il 13 settembre scorso ha presentato all’ufficio italiano Marchi la domanda per registrare un marchio di caffè col nome Torrisi, chicco e tazzina di caffè).
L’unica cosa certa ad oggi è che la Compagnia Meridionale Caffè (è questo il nome esatto della società) è in fase terminale (anche il sito internet è stato oscurato) e che volge al termine l’epopea della famiglia Torrisi iniziata 106 anni fa dallo spirito visionario del fondatore Francesco, che, nella centrale via Gisira, iniziava la torrefazione in scala artigianale già immaginando che il consumo di caffè sarebbe cresciuto in modo esponenziale. Ma fu con la sua prematura scomparsa che prese le redini dell’azienda il giovane figlio Giuseppe, vero capitano d’industria, che iniziò ad allargare i confini dell’azienda prima spostando la produzione nel nuovo stabilimento della zona industriale (sede sino a qualche giorno fa), e poi aprendo filiali nei capoluoghi siciliani sino alla vendita del prodotto in ambito nazionale.
Erano gli anni del boom economico, Pino Caruso con i suoi scioglilingua entrava nelle case dei siciliani con una tazzina di caffè Torrisi e negli angoli delle strade i cartelloni pubblicitari con il sole stilizzato nel marchio recitavano “buongiorno gente”. La produzione del caffè catanese ricopriva il 49% del mercato siciliano. Poi, alla fine degli anni ‘80, inizia la parabola discendente con la prima crisi aziendale in concomitanza con le azioni giudiziarie che porteranno gli eredi del fratello Diego ad abbandonare l’azienda e Giuseppe a rimboccarsi le maniche per rimetterla in sesto nonostante gli impegni istituzionali (era presidente della Camera di Commercio) e giudiziari (venne accusato e processato per aver concesso prestiti a tassi usurari ma fu poi assolto con formula piena). Ci riuscì a tenerla a galla sino alla sua morte due anni fa, poi un periodo di sopravvivenza sino ad arrivare ai nostri giorni.
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