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Arresto Ad Blutec, legali: «Sito siciliano resta al centro del progetto» Lavoratori preoccupati

Di Redazione |

TERMINI IMERESE – Nei cartelli in legno bianco le crepe danno il segno dell’abbandono, la vernice blu è scolorita, a malapena si leggono le scritte che indicano le direzioni dei capannoni: «molo b, centrale carburanti, mag. ausiliario». Il lungo viale che porta dai cancelli d’ingresso all’ultimo padiglione è deserto. Nelle aiuole l’erbaccia è alta, col primo sole sono spuntati fiori gialli di campagna. Nella show room campeggia la scritta “Fiat auto”, di fronte c’è il capannone per le manutenzioni: una grande struttura dove regnano silenzio e desolazione. Blutec, la società subentrata a Fca cinque anni fa, non l’ha mai utilizzata; di fianco c’è la sala mensa, o quel che ne rimane, chiusa da un pezzo. Ma lo studio legale torinese Grande Stevens, che difende Blutec e il suo amministratore delegato Roberto Ginatta dall’accusa di aver sottratto 16 dei 21 milioni di finanziamenti pubblici, chiarisce: «I profili occupazionali di Termini Imerese sono sempre stati al centro del progetto industriale di Blutec».

Entrando nello stabilimento, i vigilantes osservano a testa bassa gli operai in sciopero che accolgono i colleghi (sono 540) che da gennaio non hanno nemmeno la cassa integrazione e temono di perdere il rinnovo promesso dal ministro Luigi Di Maio, dopo gli arresti del management. I legali di Blutec sono convinti di poter dimostrare che non c’è stata alcuna distrazione di fondi “nettamente inferiori ai costi già ad oggi sostenuti in proprio per la reindustrializzazione del sito e i relativi progetti occupazionali». Gli operai sono scoraggiati. «Guardandomi intorno mi sale una infinita tristezza», dice un lavoratore assunto nel 2002. «Fu un sogno entrare qui la prima volta, oggi è un incubo», aggiunge con amarezza. Alcuni dirigenti guardano a distanza i lavoratori riuniti in assemblea nella sala conferenze: sono entrati dopo avere «forzato», ma senza tensioni con le forze dell’ordine e il personale in servizio, l’accesso alla fabbrica.

Poco più avanti, in fondo al vialone, c’è il padiglione dove venivano verniciate la Panda, la Lancia Ypsilon e le altre vetture che il Lingotto costruiva in questo stabilimento, a una cinquantina di metri dal mare; anche questo immenso capannone è abbandonato da 18 anni. Nei tempi d’oro, erano gli anni Ottanta, in fabbrica lavoravano 3.200 operai più 1.200 lavoratori delle tante ditte dell’indotto, con gli impianti a regime e le bisarche che uscivano con il carico di auto destinate alle concessionarie di tutt’Italia. «Ora siamo in 130», racconta Totò Tripi in un silenzio spettrale per uno stabilimento dove il suono del metallo ha scandito per quasi quarant’anni i ritmi di lavoro per tante generazioni di tute blu. Chi è stato riassorbito da Blutec (130 su 700 operai) ricorda i turni nelle linee di montaggio o nel reparto vernici mentre ora, dopo alcuni corsi di formazione, si occupa di software e stampanti in 3D per disegnare componenti per l’Iveco, progettare cablaggi per i motori di Poste italiane, fare controlli di qualità. Attività andate avanti, più o meno con regolarità, sino alla fine dell’anno scorso. «Da allora c’è stato un calo vistoso», confessa un lavoratore. Fuori dalla fabbrica ci sono le troupe televisive. «Dobbiamo mantenere alta la tensione», suggeriscono i sindacalisti ai lavoratori radunati nel piazzale. L’idea è di andare a Roma in pullman per manifestare davanti al Mise. Un operaio cerca di incoraggiare un collega: «Bisogna essere in tanti». E lui, amaro: «In questo momento penso a come posso arrivare a fine mese, in tasca ho solo 50 euro».

Al termine dell’assemblea sono stati decisi manifestazione e corteo per le strade di Termini Imerese il prossimo 22 marzo. In una lettera, inoltre, i sindaci chiedono al ministro per lo Sviluppo Luigi Di Maio di anticipare la riunione al Mise in programma il 9 aprile. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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