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Vanna Marchi e figlia querelano utente social, ‘basta calunnie’

"Siamo cittadine che da tempo hanno scontato la pena inflitta"

Di Redazione |

MILANO, 10 DIC – “Abbiamo da tempo interamente scontato la pena inflittaci dalla Giustizia Italiana al termine di un processo di vasta risonanza mediatica e da allora viviamo, come tutti, con il provento del nostro lavoro, per cui oggi non ci riteniamo cittadine diverse da chiunque altro”. E “crediamo che non possa essere consentito a nessuno di pubblicamente, quanto impunemente, prodursi in affermazioni ed accuse non solo sprezzanti e malevole, ma all’evidenza gravemente calunniose”. Lo scrivono Vanna Marchi e la figlia Stefania Nobile in una querela depositata in Procura a Milano per diffamazione aggravata in relazione ad un commento postato da un utente sui social. Sul profilo del gestore di un noto locale a Milano, frequentato dalle due donne e che è seguito da “259mila follower”, come si legge nella denuncia depositata dall’avvocato Davide Steccanella, “tale sig. Antonio (nickname Tonisixsnine)”, infatti, nel “riferirsi in modo critico al locale” ha postato il 6 dicembre “nello spazio aperto ai commenti pubblici degli utenti” frasi “di carattere gravemente diffamatorio”. Oltre al “turpiloquio”, nel post l’utente parla di “riciclo di denaro rubato da due fantomatiche commercianti” che continua “ad essere ripulito”. E’ “palesemente diffamatorio, ben oltre il mero insulto”, scrivono Vanna Marchi e la figlia, “l’averci pubblicamente e indistintamente attribuito la paternità di una plurima commissione di gravi reati, per avere, si legge, messo in piedi un’attività commerciale appositamente destinata al ripetuto riciclaggio di denaro da noi rubato, al fine di garantirci l’impunità”. E “commenti pubblici di tal fatta rischiano di creare pericolose campagne d’odio indiscriminato nei nostri confronti”, spiega Marchi, ex ‘regina delle televendite’ condannata in via definitiva anche per truffa assieme alla figlia. Entrambe chiedono, dunque, ai pm di identificare l’utente e di accusarlo di diffamazione.

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