Totò Cascio: «Il mio Cinema Paradiso 30 anni dopo»

Di Giovanni Finocchiaro / 19 Dicembre 2018

Palazzo Adriano (Palermo) – Trent’anni fa usciva nelle sale «Nuovo Cinema Paradiso». Molti celebrano la data del 18 dicembre, in realtà la pellicola – snobbata inizialmente dal pubblico, poi il boom fino alla corsa culminata con l’Oscar – fu distribuita in sordina il 17 novembre: «Una data o l’altra che importa? Quello che non riesco a spiegarmi è il successo clamoroso che riscuote ancora oggi il capolavoro del maestro Tornatore. Pensi che l’altra settimana mi hanno chiamato in Polonia per un Festival che ha dedicato una giornata intera al film. E, il giorno dopo, nelle scuole, i ragazzini di tutt’altra generazione, applaudivano».

Salvatore Cascio, il piccolo, impertinente, indimenticabile Totò, parla da Palazzo Adriano. È proprietario di un supermercato, con la sua famiglia, a due passi dalla piazza, centro nevralgico del film: «Sto alla cassa, dirigo l’azienda, parlo con i fornitori. Faccio di tutto: ho – con i miei genitori e mio fratello – un alberghetto a Chiusa Sclafani. L’ho chiamato l’Oscar dei sapori. In ogni stanza ci sono foto tratte dal set del film; nella sala grande abbiamo riprodotto, sul tetto, una pellicola che si snoda lungo tutta l’area, con altre foto ufficiali o scattate durante le pause della lavorazione». Totò ha barba, occhiali, una voce da quarantenne, ma la vivacità vista, amata sul grande schermo. E la sensibilità di chi ha vissuto la gloria assoluta in un mondo fatato, ma ha saputo riappropriarsi della semplicità della vita quotidiana nella sua terra, tra Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano.

Trent’anni, una vita: «A distanza di tempo provo ancora belle sensazioni se ripenso ai giorni della lavorazione, alla prima delusione per il flop nelle sale, al boom per il successo che è arrivato – tardi – ma è arrivato».

A Chiusa e a Palazzo Adriano, Totò è un ragazzo qualunque. S’alza presto, va a lavoro e rientra tardi a casa. «Ho un tesoro inestimabile, gli amici di sempre. Ma sono dispiaciuto perchè molti se ne vanno via da qui. I due paesi sono isolati dal mondo. Distanti dalle grandi città, sì, ma le strade di collegamento sono impossibili. Strade disastrate che nessuno sistema. Chiusa e Palazzo muoiono tra l’indifferenza di tutti». Eppure, il set naturale, meraviglioso, di «Nuovo Cinema Paradiso» non è stato mai sfruttato per far decollare una delle zone più belle dell’entroterra palermitano: «Ogni volta che cambia il Governo, leggo e sento promesse incoraggianti. Poi tutti dimenticano questo angolo di Paradiso. Vorrei dire al presidente della Regione Musumeci di fare un salto qui per rendersi conto. Se solo si riuscisse a guidare da queste parti un flusso turistico interessato, la zona potrebbe risorgere. Sa quanti giapponesi mi scrivono sulla mia pagina social chiedendo informazioni sulla piazza del film?»

E Salvatore ricorda anche episodi che, negli anni scorsi, sono balzati all’occhio della cronaca nazionale: «Vicino la piazza c’è un museo bellissimo: cimeli del film, foto di scena, le file dell’arena, le sedie dei cinema, la bici di Noiret e molto altro. Una coppia di giapponesi si fece portare in taxi da Catania per visitarlo. Spese una barca di soldi per fotografare la piazza e andarono via commossi». E, ancora: «Nell’agosto di due anni fa quattro giapponesi arrivarono in piazza, montarono un videoproiettore e si gustarono il film nella location più adatta per chi è un vero cultore di questa meravigliosa storia».

Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano, meno di 3 mila abitanti a testa, rischiano il tracollo: «E noi abbiamo in mano un tesoro che non sfruttiamo. Chiusa ogni anno celebra la festa della ciliegia, una qualità unica e molto apprezzata. Ma chi arriva qui in bus, dopo un’ora e un quarto di curvoni e le strade impossibili da percorrere, va via col mal di testa. Si deve rimediare subito. Io ogni anno perdo amici su amici. Dopo le scuole dell’obbligo se ne vanno e mi sembra di rivivere la scena del film, quando Totò lascia il suo amico Alfredo e la famiglia e si trasferisce in treno a Roma».

Ci tornano in mente le parole del film e con Totò le rimandiamo a memoria: «Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere. Non ti fare fottere dalla nostalgia, dimenticaci tutti». O, ancora, il dialogo tra il Salvatore che torna dal servizio militare e Alfredo che lo invita a guardare oltre ai suoi affetti: «Vattinni, chista è terra maligna! Fino a quando ci sei ti senti al centro del mondo, ti sembra che non cambia mai niente. Poi parti. Un anno due, e quannu torni è cambiato tutto: si rompe il filo. Non trovi chi volevi trovare. Le tue cose non ci sono più. Bisogna andare via per molto tempo per trovare, al ritorno, la tua gente, la terra unni si nato».

Totò Cascio e Philippe Noiret 

Salvatore annuisce e ricorda i giorni della lavorazione del film: «Ho vissuto l’esperienza come un gioco. Quel ruolo, il Totò bambino, è un biglietto da visita che mi ha permesso di vivere negli anni successivi altre esperienze. Sei conosciuto da tutti ed è importante». E il rapporto con i grandi protagonisti del film: «Ricordo i giorni con Noiret: mi considerava come un nipotino, recitava in francese e aveva la traduttrice, era una persona buona». Su Tornatore: «Lo facevo arrabbiare (ride, ndr), era un professionista scrupoloso. Io ero vivace, mi impegnavo, studiavo. Ma se la scena che si girava aveva anche la minima pecca, la si ripeteva decine di volte. Giusto così».

La scena più bella? «Gli esami da esterno di Noiret. Io che scrivevo il compito d’Italiano, lui che non sapeva da dove iniziare. Cominciammo un dialogo mimando il passaggio della copia in cambio del mio rientro nella cabina del Paradiso. Che emozione, quanti ricordi. Al cinema dopo quella scena, i ragazzi della mia generazione applaudirono divertiti. E oggi, credetemi, sorrido ancora pure io».

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Pubblicato da:
Redazione
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