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Stretta anti-Covid, si abbassano criteri per fasce. Conte: «Ancora sacrifici»

Di Matteo Guidelli |

ROMA – Conferma delle misure restrittive in vigore, compreso il sistema della divisione a colori dell’Italia contestato da alcuni governatori, ristori per le attività costrette a chiudere e inasprimento ulteriore dei criteri che determinano il passaggio nelle zone con maggiori restrizioni, con almeno mezza Italia che rischia già nel fine settimana di aggiungersi a Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Sicilia e Veneto, da oggi arancioni. Nella riunione con Regioni, province e comuni, il governo ribadisce che l’unica strada possibile con la curva dei contagi in risalita è la linea del rigore: “le misure sono ancora necessarie ad evitare un aumento incontrollato dei contagi” ripete il ministro della Salute Roberto Speranza difendendo le scelte fatte con il decreto di Natale – «senza quelle avremmo altri numeri» – e avvertendo: «nessuno sottovaluti la serietà della situazione». Che è abbastanza chiara, secondo il premier Giuseppe Conte. Dopo Gran Bretagna, Irlanda e Germania “l’impennata dei contagi sta arrivando anche da noi. Non sarà facile, dobbiamo fare ancora dei sacrifici”.

Ci saranno comunque ulteriori passaggi prima dell’arrivo del nuovo Dpcm. Speranza illustrerà mercoledì al Parlamento le misure, poi giovedì ci sarà un nuovo incontro con le regioni, con il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia che ha già garantito ristori per tutte le attività costrette a chiudere, e successivamente il Consiglio dei ministri, che dovrà approvare due provvedimenti: un decreto legge con la proroga dello stato d’emergenza (per il momento fissata al 30 aprile) e del divieto di spostamento tra le regioni, anche quelle gialle, e il Dpcm con il resto delle restrizioni. Una delle misure su cui si sta ancora lavorando è l’intervento sugli indici di rischio per “facilitare” l’ingresso in zona arancione delle regioni a rischio alto. L’idea del governo era quella di intervenire sull’incidenza: con 250 casi ogni 100mila abitanti si entrava direttamente in zona rossa. Proposta bocciata dalle Regioni poiché, lo ha detto ieri il presidente della Conferenza Stefano Bonaccini e l’ha ribadito oggi Luca Zaia, penalizzerebbe chi fa più tamponi. «L’incidenza è un fatto scientifico, ma funziona se tutte le Regioni fanno tamponi nella stessa percentuale sulla popolazione» ha sottolineato il governatore del Veneto. L’ipotesi ora sul tavolo è di abbassare la soglia critica del tasso di occupazione delle terapie intensive e dei posti letto in area medica, fissata ora al 30% e al 40%. Sotto quella soglia si entrerebbe in automatico in zona arancione o rossa. E in base all’ultimo monitoraggio, 13 sono le regioni e le province autonome a rischio: 7 (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Veneto, Bolzano e Trento) per tutte e due le voci, 6 (Lombardia, Marche, Piemonte, Umbria, Puglia e Valle d’Aosta) per una sola.

L’altro punto su cui il governo ha insistito, nonostante la contrarietà del presidente della Liguria Giovanni Toti, è lo stop alla vendita da asporto per i bar alle 18, con l’obiettivo di evitare assembramenti di giovani. Quanto ai ristoranti, potranno aprire fino alle 18 solo nelle zone gialle mentre la sera resteranno chiusi, così come i cinema e i teatri. Potrebbero riaprire, invece, i musei, ma solo nelle regioni gialle. Nel Dpcm entrerà poi la conferma del coprifuoco dalle 22 alle 5, la regola che consente a massimo due persone di andare a trovare a casa parenti e amici una sola volta al giorno – «è una norma ragionevole che ha funzionato e avrebbe senso confermarla” dice Speranza – e una nuova ‘zona biancà, alla quale si accederebbe con un Rt sotto 0,50 o con un’incidenza di casi di 50 ogni 100mila abitanti: si tratterebbe, ripete il governo, di un «segnale di speranza» per il futuro, perché ad oggi nessuna regione si trova in questa condizione. Nessuno spiraglio sembra esserci, infine, per la riapertura degli impianti sciistici e per piscine e palestre, anche se su questi temi nelle prossime ore ci sarà una riunione del Cts. Non sono però le singole misure quanto il sistema delle fasce in generale ad aver sollevato le critiche dei governatori. Vincenzo De Luca lo contesta fin dall’inizio e anche oggi ha ribadito la necessità di una linea uguale per tutta Italia, spalleggiato da Attilio Fontana, contrario ad un «ondeggiamento che non porta stabilità». Serve invece un «criterio uguale per tutti che non insegua la suddivisione in zone» aggiunge il governatore lombardo. Anche perché sa meglio di altri a cosa va incontro la sua regione: «tenendo conto dei nuovi parametri, ci stiamo avvicinando alla zona rossa».  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA