Sono 125 le pagine lungo cui è disegnata l’Italia del futuro: se non nei dettagli almeno nella cornice entro cui si realizzerà l’ammodernamento del paese dopo lo choc Covid. L’ambiente, la sostenibilità, insomma il green per dirla con terminologia “più digitale”, la farà da protagonista con 74,3 miliardi di dote.
Nel complesso ammontano a 196 miliardi le risorse che, secondo la bozza del Recovery plan saranno destinate alle sei macro-aree del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. Alla digitalizzazione e innovazione saranno destinati 48,7 miliardi, al settore Infrastrutture per una mobilità sostenibile 27,7 miliardi. Il capitolo «istruzione e ricerca» può avvalersi di 19,2 miliardi, quello sulla Parità di genere 17,1 miliardi. L’area sanità, infine, conterà su 9 miliardi oltre quelli già stanziati finora con i diversi interventi del Governo e senza tener conto del cospicuo pacchetto del Mes-sanità da cui però non sembra ci sia intenzione di attingere.
I progetti del piano italiano non dovrebbero superare la sessantina. Saranno suddivisi in 17 cluster che risponderanno alle 6 missioni. Sotto il capitolo green ci saranno anche la decarbonizzazione dell’industria (a partire dall’ex Ilva) e lo sviluppo dell’idrogeno. E, sotto forte pressing dei partiti, probabilmente anche il rinnovo del superbonus al 110%. Pure il piano per la mobilità farà la sua parte per l’ambiente, con il rinnovo del parco dei mezzi pubblici. Un ulteriore 10% il premier ha poi fatto sapere che andrà alla messa in sicurezza e al cablaggio di scuole e ospedali. Il completamento della rete in fibra ottica e lo sviluppo del 5G sono peraltro prerequisito per quella trasformazione digitale della pubblica amministrazione, e non solo, in cima ai progetti del governo, che passa anche dal piano cashless appena avviato. Della missione “Formazione” farà parte anche il piano per i 750 mila posti in più negli asili nido – che da solo potrebbe assorbire 2 miliardi. Mentre la sanità dovrebbe puntare tutto sul rafforzamento del digitale e delle cure domiciliari.
Le riforme e gli investimenti, inclusa l’attuazione e il monitoraggio del piano e la valutazione dell’impatto economico, mirano a «una transizione ‘green, smart and healthy’. E nello schema di governance, oggetto del contendere nella maggioranza, si è immaginata una piramide con un comitato esecutivo politico (a tre, Conte, Gualtieri e Patuanelli) dei capi-missione con poteri sostitutivi (che andranno rivisti), una squadra di tecnici ad aiutarli a coordinare l’attuazione rapida del piano e a superare eventuali intoppi. Se venisse approvato nei suoi elementi essenziali questo schema prevedrebbe anche il coinvolgimento delle parti sociali, «categorie produttive» ma anche «sistema dell’università e della ricerca» in un «Comitato di responsabilità sociale» con il compito di dare «suggerimenti e pareri» alla task force del Recovery.
Se la rivoluzione italiana si tingerà di verde, così come del resto chiede l’Europa e forse quella next generation a cui il Recovery plan è di fatto dedicato, da fare c’è molto: «Interventi per aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili, migliorare l’efficienza energetica degli immobili, a partire da scuole e ospedali». E ancora la promozione di «nuove forme di mobilità locale sostenibile e le grandi opere di completamento dei collegamenti ferroviari del Paese». Il Pnrr ha anche azioni specifiche per migliorare la qualità dell’aria nei centri urbani, (come da tempo ci chiede l’Europa), «favorire l’economia circolare, mitigare i rischi di dissesto idrogeologico e ripulire le acque interne e marine. Questi interventi saranno anche un investimento nella “bellezza” del nostro Paese, nei suoi borghi, nei suoi edifici storici, nelle aree verdi urbane e nella salvaguardia del territorio e delle foreste», mette nero su bianco il premier Conte.
Poi una serie di numeri, che rappresentano il frutto maturato dalla “rivoluzione”: «Grazie agli effetti espansivi del Piano, a fine periodo di investimento (2026) il pil risulterebbe più alto di 2,3 punti percentuali rispetto allo scenario di base». Con una spinta via via crescente: 0,3% nel 2021, 0,5% nel 2022, 1,3% nel 2023, 1,7% nel 2024, 2% nel 2025.
E sebbene non prioritario nelle finalità generali definite dall’Ue per i piani nazionali c’è la volontà di venire incontro alla tanto citata classe media, quella di cui si teme ormai l’estinzione, concentrando le risorse disponibili per ridurre “prioritariamente la pressione fiscale» intervenendo a favore dei lavoratori (sia dipendenti sia autonomi) con un reddito “orientativamente tra 40 e 60 mila euro, perché si tratta della fascia che oggi sconta livelli di prelievo eccessivi rispetto ai redditi ottenuti».
Tra le misure previste anche il tanto discusso superbonus al 110%, che la maggioranza preme per vedere rinnovato già in manovra. Tra le tante novità invece anche un nuovo «servizio civile digitale» con il coinvolgimento «professionale di circa 4.500 giovani» per perseguire la «diffusione delle competenze e il contrasto all’esclusione digitale», nonché la modernizzazione e la crescita digitale della P.A con la creazione in sinergia con il progetto Ue Gaia-x della «nuvola», un cloud, che archivia, rende disponibili e potenzialmente analizza i dati digitali di miliardi di dispositivi in rete.