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«Qualcuno conosce il signor Salvatore Tomarchio?» Fu uno degli “angeli del fango” catanese che contribuì a salvare Firenze

Di Carmen Greco |

CATANIA. Fu fra quei ragazzi che partirono senza remore per contribuire a mettere in salvo le opere d’arte custodite a Firenze minacciate dall’alluvione del 1966. Si chiamava Salvatore Tomarchio, un nome catanesissimo, perché da Catania arrivava. Un ragazzone alto con gli occhiali, ritratto nelle foto d’epoca.

A Firenze non l’hanno dimenticato. Almeno i ragazzi ragazzi dell’Istituto “Marco Polo” gli hanno reso omaggio dedicandogli una quercia nell’ambito del progetto  internazionale “Un Giardino delle Giuste e dei Giusti in ogni scuola”, iniziativa promossa in tutt’Italia dall’Associazione Fnism (Associazione nazionale degli insegnanti) presieduta a Catania dalla prof. Pina Arena e attuata, per esempio a Catania, nell’Istituto Vaccarini.

Oggi i ragazzi della scuola di Firenze vorrebbero “conoscere” il signor Tomarchio, sapere se è ancora in vita, se abita a Catania se, invece, viva altrove, insomma vorrebbero mettersi in contatto con lui e – tramite la prof. Pina Arena, lanciano un appello anche dal nostro sito per “cercare” Salvatore Tomarchio.

Ecco, di seguito, l’appello scritto dalla presidente Fnism- Catania, prof. Pina Arena

Qualcuno conosce il signor Salvatore Tomarchio? Il signor Tomarchio ci legge?  

L’Istituto fiorentino “Marco Polo” ha reso onore, dedicando a lui, uomo GIUSTO, una quercia nell’ambito del progetto  internazionale “Un Giardino delle Giuste e dei Giusti in ogni scuola”: nei giardini delle  scuole piantiamo alberi di memoria e riconoscenza per le donne e gli uomini, spesso poco conosciuti o sconosciuti, che si sono dedicati nel silenzio al bene dell’umanità, coltivando i valori della solidarietà, della  libertà, della giustizia, dell’inclusione. Sono donne e uomini che offrono un modello di bella e nobilissima umanità al servizio del bene comune. Modelli specialmente per le nostre ragazze ed i nostri ragazzi. 

Salvatore Tomarchio fu uno degli “Angeli del fango”, uno dei ragazzi che partirono d’impeto, in una nottata, da ogni parte del mondo,  “mettendo due cose nello zaino”, per soccorrere persone, libri, opere d’ arte devastate dall’alluvione del 1966. Insomma “la meglio gioventù”.  

Era il 4 Novembre 1966 e Firenze in meno di 12 ore era stata   invasa da 80 milioni di metri cubi d’acqua. La piena dell’Arno, alimentata da giorni di pioggia, aveva rotto gli argini, impetuosa era entrata in città travolgendo ogni cosa: case, monumenti, negozi.

«L’acqua arrivò fino a quasi cinque metri d’altezza – si legge in un pezzo del Corriere della Sera dell’epoca – e danneggiò opere d’arte, monumenti, travolse le porte del Battistero e di Santa Croce, coprì di fango i preziosi volumi della Biblioteca nazionale. Furono 18mila le famiglie alluvionate e quattromila quelle rimaste senza un’abitazione: 35 i morti, 17 in città e 18 nella provincia; furono almeno 1.500 le opere d’arte danneggiate, oltre un milione i volumi sommersi, 30 mila le auto travolte”.

I protagonisti di quei giorni furono gli “angeli del fango”, come vennero definiti per la prima volta da Giovanni Grazzini, inviato del Corriere.

Tra loro, Salvatore Tomarchio.

«Me lo ricordo come se fosse ieri il giorno che decisi di partire  – raccontò all’epoca al Corriere Salvatore – … Me ne stavo in camera mia a far niente, leggevo un romanzo che mi aveva passato Mario, il mio vicino di casa. E ad un certo punto alla radio iniziarono a parlare di Firenze. Dicevano che serviva un aiuto urgente. Che la città era in ginocchio. Che c’erano persone intrappolate nelle loro case da giorni. Che il fango era entrato nella Biblioteca nazionale, che il Cristo di Cimabue, forse, era perso per sempre. Non ci pensai due volte… partii… Per giorni vissi letteralmente nel sottosuolo della Biblioteca, con la melma che mi impiastricciava le scarpe e i pantaloni…». 

«Con gli altri ragazzi facevamo una catena umana per tirare via dal fango i libri antichi. Il primo li raccattava da terra, dagli scaffali crollati a terra, l’ultimo li metteva al sole ad asciugare. Poi li portavamo alla Centrale termica della stazione, dove si iniziava a pulirli. Un lavoro metodico, con bisturi e carta assorbente.

«Nel bene e nel male quell’esperienza ci plasmò, sì. Posso dire questo. Ci fece diventare gli uomini e le donne che siamo adesso. Noi aiutammo Firenze a rimettersi in piedi, Firenze aiutò noi a vivere con più coscienza le nostre vite».

Se qualcuno lo conosce, se il signor Tomarchio ci legge, ci dia notizie.

La targa dedicata a Tomarchio e Susan Glasspol 

Le ragazze ed i ragazzi dell’ITT “MarcoPolo” di Firenze, la prof. Teresa  Zuffanelli, il preside Arte, e noi (Federazione nazionale degli insegnanti) che, con “I Giardini delle Giuste e dei Giusti in ogni scuola” promuoviamo la cultura della memoria, della condivisione della riconoscenza alla più bella umanità, saremmo felici di incontrarlo e ascoltare ancora la sua storia di dedizione e di amore per la bellezza e l’umanità.

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