Torino
Nega abiti e tv alla moglie, condannato imam
Condannato a 2 anni e 3 mesi per maltrattamenti
TORINO. Non poteva vestirsi come voleva, era costretta a mangiare in una stanza separata dagli uomini, e non era libera nemmeno di decidere cosa guardare in tv, ma doveva solo occuparsi della casa, del marito e dei due figli. E se provava a dire di no, veniva insultata. E, a volte, anche picchiata. Il Tribunale di Torino ha condannato un imam a due anni e tre mesi. Maltrattamenti il reato contestato perché «anche se molti comportamenti per la cultura araba possono essere considerati normali – aveva sostenuto l’accusa in aula -, in questo caso travalicano il limite ed assumono una rilevanza penale». I maltrettamenti, per la pm Barbara Badellino, che aveva chiesto una condanna a due anni, consistevano proprio nell’aver tolto qualsiasi autonomia alla moglie, sposata in Marocco con un matrimonio combinato dalle famiglie d’origine. Abiti informi e velo erano d’obbligo per la donna, che non poteva uscire sola. Tornata per un breve periodo a vivere in Marocco, nel 2015, aveva tentato anche una fuga in Spagna, ma era poi stata costretta a tornare in Italia. Nel frattempo erano nati i due figli, ma i maltrattamenti erano ricominciati come se nulla fosse. Contraddire il marito o, peggio, dirgli di no era impossibile: l’unica volontà era quella dell’uomo, arrivato per l'accusa persino a prenderla a schiaffi e a spintonarla. L’imam ha sempre negato le accuse e il suo legale, l’avvocato Federico Schettini, ha già annunciato l’intenzione di ricorrere contro la condanna di primo grado. Del resto, in aula gli amici portati come testimoni lo hanno difeso a spada tratta. Nessuno ha raccontato di avere assistito a episodi di violenza, fisica o psicologica, nè tanto meno di averla vista con addosso il burqa. L'unico referto medico, secondo la difesa, riguardava un dito gonfio, perché durante una lite il marito avrebbe chiuso un armadio pizzicandole la mano. «Una cosa sono i maltrattamenti, un’altra gli aspetti culturali. Anche mangiare in disparte, gli uomini separati dalle donne, non possono essere considerate condotte illecite», sostiene l’avvocato Schettini annunciando il ricorso, ma l'accusa non ha dubbi. Anche per quanto riguarda i testimoni: «Si tratta di uomini, in particolare di mariti, che hanno mostrato lo stesso imprinting culturale – aveva sostenuto la pm Badellino nella sua requisitoria -: le loro dichiarazioni sono poco attendibili».