L’attacco alla centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia ha fatto scattare in più Paesi, Italia compresa, una corsa nelle farmacie a caccia delle pastiglie di ioduro di potassio (KI), un composto utilizzato come farmaco contro l’ipertiroidismo e come fattore di protezione in caso di emissioni di radiazioni. Ma la raccomandazione è evitare il fai-da-te.
Intanto l’Italia sta verificando le scorte di compresse di iodio stabile presenti nelle farmacie, in seguito all’escalation dell’offensiva russa in Ucraina e del conseguente rischio nucleare: risale a giovedì scorso l’attacco alla centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa. La somministrazione di iodio fa parte della strategia per ridurre gli effetti negativi sulla salute delle persone esposte a radiazioni.
Le cronache danno conto di un’accresciuta richiesta delle pillole in diverse zone del Paese e la Protezione civile ed il ministero della Salute hanno attivato una ricognizione sulle riserve. Mentre gli esperti invitano ad evitare il fai-da-te: è molto importante assumerlo in «dosi opportune e non come preventivo in assenza di radioattività», avverte Sebastiano Venturi, medico esperto di igiene pubblica. Utilizzato in seguito all’incidente nella centrale di Chernobyl, nel 1986, è un sale di iodio stabile, ossia non radioattivo, in grado di bloccare l’assorbimento dello iodio radioattivo da parte della tiroide.
La iodoprofilassi è contenuta nel Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche che sta per essere aggiornato. La bozza del nuovo Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, firmata dal capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, consiste in 3 fasi, considerate in base all’evoluzione dello scenario incidentale considerato. Inoltre è tarato su varie tipi di incidente con differenze tra un impianto posto entro 200 km dai confini nazionali e uno oltre quella distanza oppure per un incidente in territorio extraeuropeo. Nell’ultima delle tre fasi, definita «di transizione», sono avviate le azioni di rimedio e di bonifica dei territori contaminati, e la gestione dei materiali contaminati prodotti durante l'emergenza.
Nel piano del 2010 era scritto che in caso di «incidente severo» ad una centrale nucleare, il Dipartimento della Protezione civile può decidere di attivare «la distribuzione di iodio stabile nelle aree interessate». Si tratta, viene spiegato nel documento, di una «efficace misura di intervento per la protezione della tiroide, purché venga attuata tempestivamente (da alcune ore fino ad un giorno prima dell’esposizione o al massimo entro le prime 6-8 ore dall’inizio dell’esposizione)». Vengono raccomandate dosi da 10 mSv per la fascia 0-18 anni, le donne in gravidanza e in allattamento e da 100 mSv per gli adulti. Alcuni Paesi "nucleari" come Francia e Svizzera distribuiscono compresse alla popolazione che risiede nelle vicinanze dell’impianto e si ritiene che anche l’Italia debba organizzarsi, progettando, si legge nel Piano, «un sistema di stoccaggio finalizzato alla distribuzione rapida in emergenza».
Va comunque detto che lo ioduro di potassio «va assunto solo dietro indicazioni dei responsabili della salute pubblica o di coloro che gestiscono l’emergenza» in quanto nell’assumere lo ioduro di potassio si può andare incontro a rischi per la salute», rilevano i Centri americani per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc).
E’ molto importante assumerlo in «dosi opportune e non come preventivo in assenza di radioattività», rileva Sebastiano Venturi, medico esperto di igiene pubblica che ha lavorato nel Servizio di igiene e prevenzione della Ausl di Rimini.Venturi e autore di una ricerca su questo tema pubblicata nel 2020 sulla rivista Human Evolution. «Vanno inoltre considerati – aggiunge – fattori importanti, come età, malattie, stato di gravidanza o allattamento».
Utilizzato in seguito all’incidente nella centrale nucleare di Chernobyl, nel 1986, è un sale di iodio stabile, ossia non radioattivo, in grado di bloccare l’assorbimento dello iodio radioattivo da parte della tiroide. «In realtà lo iodio protegge solo dallo iodio radioattivo, in particolare dallo iodio 131, ma non da altri radionuclidi emessi in incidenti nucleari, come cesio e stronzio», rileva Venturi.
Secondo la Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (Fofi) che non vi è alcun allarme che giustifichi la richiesta in farmacia di compresse di iodio, da assumere per prevenire o per arginare eventuali danni provocati da emissioni radioattive. «Da parte delle Autorità competenti – chiarisce Andrea Mandelli, presidente Fofi – non vi è alcuna indicazione all’approvvigionamento di iodio per un’eventuale minaccia nucleare. Pertanto, la richiesta di medicinali a base di questa sostanza è del tutto ingiustificata».
«L'uso indiscriminato e inconsapevole di questi prodotti è da sconsigliare – spiega – sia a scopo preventivo, per il quale non vi sono evidenze di efficacia, sia per finalità terapeutiche. L’assunzione di farmaci a base di iodio, come per tutti i medicinali, deve avvenire esclusivamente su indicazione e sotto la supervisione del personale sanitario, e in base agli indirizzi delle autorità sanitarie competenti».
L'Istituto superiore di sanità sottolinea che «solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese, sarà la Protezione Civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l’intera popolazione». A tale proposito, l’Iss precisa che «attualmente in Italia è raccomandato il solo utilizzo del sale iodato per la preparazione e la conservazione degli alimenti, mentre è sconsigliato il ricorso fai-da-te a preparati contenenti elevate quantità di iodio che invece potrebbero determinare conseguenze negative per l’organismo, incluso il blocco funzionale della tiroide».