Italia
La chimica francese Aurore Fraix dalla Francia all’Italia per fare ricerca
CATANIA – Dalla Francia ha scelto di venire a fare ricerca a Catania, percorrendo in senso opposto il percorso dei “cervelli” che, solitamente, dall’Italia e in particolare dalla Sicilia, sono costretti a emigrare e, soprattutto, a non tornare. La chimica 35enne Aurore Fraix, di Rennes (Francia), dalla fine del 2011 lavora all’ombra dell’Etna cercando una chiave che consenta di curare i tumori (ma non solo) con la luce: laureata in Chimica nell’università della Bretagna Occidentale a Brest, dopo tre anni di dottorato di ricerca nello stesso ateneo francese ai quali è seguita l’esperienza di un periodo di insegnamento universitario, ha vinto una borsa di studio Marie Curie con il gruppo del prof. Salvatore Sortino (dipartimento di Scienze del farmaco) nel dicembre 2011.
Terminata l’annuale borsa Marie Curie, la dottoressa Fraix è rimasta a Catania via via con diversi contratti di borsista, contrattista e assegnista di ricerca, tra i quali uno dell’Airc, fino ad arrivare nel 2017 ad ottenere un posto di ricercatore a tempo determinato di tipo A per la progettazione e la fabbricazione di nanoparticelle fotoattivabili per terapie anticancerogene e antibatteriche, sempre allo stesso dipartimento di Scienze del farmaco.
Un contratto che termina a dicembre 2020 e che le consente, oltre che svolgere ricerca, di insegnare Chimica generale e inorganica al primo anno del corso di laurea in Biotecnologie e partecipare alla formazione dei laureandi che effettuano un tirocinio nel laboratorio del prof. Sortino. Per il futuro, Aurore Fraix vorrebbe rimanere a Catania (dove si è fidanzata con un catanese che lavora alla 3Sun): «Spero che ci saranno altri concorsi che mi permetteranno di passare al ruolo di professore associato: avendo messo il piede sul primo gradino della scala universitaria, mi auguro di riuscire a conquistare un posto più stabile».
Una passione per la chimica nata sui banchi del liceo – «Mi piaceva il fatto di potere creare nuove molecole e nuove possibilità» – cui è seguita la scoperta della ricerca, «soprattutto facendo il dottorato a cavallo tra chimica e biologia (mi occupavo di sistemi per la terapia genica), il che mi ha permesso anche di entrare in contatto con gli studenti: ed è bello passare loro, che saranno i ricercatori del futuro, la voglia di impegnarsi e fare qualcosa in questo campo».
Molto innovative le ricerche svolte dalla dottoressa Fraix nel gruppo catanese del prof. Sortino, con possibili risvolti anche nella cura dei tumori: «Con il gruppo del prof. Sortino – spiega Aurore Fraix – ci occupiamo della progettazione e della realizzazione di sistemi attivabili tramite una stimolazione luminosa, in particolare sistemi in grado di rilasciare l’ossido nitrico (NO), una piccola molecola coinvolta in numerosi processi biologici. Questa molecola può infatti avere di per sé degli effetti antitumorali o essere associata con altri trattamenti (ad esempio con la doxorubicina) per aumentare la loro efficacia. Il fatto di poter innescare l’attività biologica soltanto con la luce permette di controllare il trattamento con precisione in termine di durata e di spazio (zona trattata) e di limitare così gli effetti collaterali dei farmaci». Una ricerca, come normalmente è quella dei chimici, “da bancone”, quindi nella fase iniziale della sperimentazione preclinica: «Il chimico – spiega la ricercatrice francese – è il primo passo della ricerca, ma è fondamentale perché effettua prove di concetto per vedere se l’ipotesi di base può funzionare e in seguito essere sviluppata in concreto». Un lavoro peraltro che si svolge in collaborazione con altri gruppi di ricerca sia all’estero sia in Italia (in particolare per la ricerca Airc, quindi per la parte riguardante l’utilizzo dell’ossido nitrico come agente antitumorale o in parallelo con cure tradizionali per la lotta ai tumori, con due gruppi di Torino e Napoli).
Otto anni fa, quindi, una scelta controcorrente quella della dottoressa Fraix dettata dalla forte attrattiva di una borsa Marie Curie: «Onestamente – ammette – non conoscevo le università siciliane prima di venire qui». E ora, dopo averle “vissute”, non è pentita della scelta: «Come in tutti i posti, ci sono lati positivi e negativi, ma anche in Sicilia si può lavorare bene. Il nostro capogruppo è molto dinamico, dunque riceviamo fondi e ciò permette di lavorare bene». E sfata il mito (o quantomeno sostiene di non avere le chiavi per effettuare un paragone) che fare ricerca in Italia sia più difficile che altrove: «È vero che in Italia c’è una maggiore pesantezza burocratica rispetto alla Francia, per esempio, ma le normative europee sono le stesse». E il livello di preparazione dei colleghi italiani è assolutamente adeguato: «Gli studenti italiani sono ben preparati, forse rispetto agli altri Paesi come la Francia hanno un maggiore livello di preparazione teorica, ma meno pratica».
Né la ricercatrice francese esprime pentimento di essere venuta in Sicilia, tranne, spiega sorridendo, «in piena estate quando ci sono 40 gradi». Senza nascondere, tuttavia, i “peccati” della Sicilia, estate a parte, tra i quali la dottoressa Fraix mette al primo posto «la fatalità dei siciliani: le cose dovrebbero potere funzionare qua come altrove, non ha senso rassegnarsi al fatto che, siccome siamo al Sud, non possono funzionare». Dei siciliani apprezza invece il fatto che «sono molto accoglienti, la gente non ha paura a invitare le persone a casa ed è felice, si sentono persino persone cantare per strada».
Ecco che allora la scienziata controcorrente consiglia ai giovani «di fare esperienza, di non avere paura di andare a vedere quello che si fa altrove». E ai giovani siciliani, in particolare, «di non avere paura di rimanere in Sicilia o di portare esperienze fatte altrove in Sicilia: come ho detto prima, le cose possono funzionare, anzi devono funzionare anche qua e tutto dipende dai giovani. Ma se partono tutti, in Sicilia non potrà mai cambiare nulla». Assicurando che, almeno a livello universitario, «si può lavorare anche qui. Certo, i problemi ci sono e non si possono nascondere, in particolare la mancanza di fondi per la ricerca – per questo il sostegno di Airc per noi è fondamentale – e la mancanza di posti di lavoro stabili nella ricerca universitaria. Ma questo accade anche altrove».
Certo, la scienza in Italia è un po’ cenerentola nella considerazione dei politici. Ecco che allora la giovane francese lancia un appello, anche in vista della prossima Giornata della ricerca contro il cancro: «Dico a tutti di non sottovalutarla. Purtroppo noi scienziati siamo cercatori, non trovatori: può capitare che troviamo qualcosa, ma l’importante è continuare a indagare, perché questo è l’unico modo per trovare alla fine qualcosa, che sia una cura per le malattie o un miglioramento del benessere del paziente».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA